L’intervista che Bersani
ha rilasciato al Wall Street Journal è chiarificatrice di ciò che potrebbe
cambiare con un centrosinistra al governo, dopo la tragica e disastrosa
esperienza del governo Monti: niente.
Bersani probabilmente si
sente molto più a suo agio nelle redazioni estere che in quelle italiane, dove
pure non mancano sostenitori incalliti del governo Monti. Ma passati i confini
nazionali, il leader del PD, candidato alla presidenza del consiglio dei
ministri (non premier, visto che in Italia non c’è premierato, e sarebbe bene
non dare spazio a questa distorsione lessicale), si lascia andare a
dichiarazioni categoriche. Così nette da non lasciare spazio a compromessi,
figuriamoci a fantomatici spostamenti di asse o baricentro, per dirla alla maniera
della retorica vendoliana.
Il fare di Bersani sembra
essere quello di chi fa il prepotente sapendo di essere più grosso. Sel,
definito di estrema sinistra (ma si sa che agli americani piace esagerare), per
Bersani non è un problema, visto che il PD rappresenta il 30% dei voti, mentre
Sel solo del 5-6%. Ma Vendola farà sentire la sua voce, dirà a questo punto uno
sconsolato elettore di Sel. Nemmeno, visto che – fa sapere Bersani – PD e Sel «hanno
firmato un patto, in cui abbiamo detto che, quando vi è disaccordo,
voteremo, e la maggioranza vince». E la maggioranza ce l’ha il PD. A questo
punto, per quanto voglia dirne Vendola per tranquillizzare il suo elettorato e
la base del suo partito, sull’articolo 18 «la discussione è
chiusa»,
dice Bersani senza mezzi termini. Con buona pace di chi pensava, si illudeva o
illudeva altri di poter spostare il PD a sinistra. I democratici guardano
invece a destra e corteggiano Casini.
Fin qui ciò che si sapeva,
o magari ci si aspettava e comunque non ci si meraviglia di sentire affermare
da Bersani. D’altronde di articolo 18 Bersani non ne aveva più parlato, dopo
che il PD aveva approvato la riforma del mercato della lavoro firmata Fornero.
La «lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai
trattati sottoscritti dal nostro Paese» era già contenuta nella famosa Carta d’intenti,
sottoscritta dall’«estremista» Vendola e che tradotto dal ‘piddino’ al ‘cittadino’
significa ancora austerità e sacrifici per lavoratori, pensionati e famiglie. Quello
che finora non era emerso in maniera così chiara dagli ambienti del PD, è il
ruolo che questo partito ha assunto nel corso del governo Monti. Mentre questo
emanava provvedimenti da massacro sociale; mentre Fornero lasciava 350.000
persone senza lavoro né pensione; mentre i diritti dei lavoratori venivano
sbriciolati; mentre la disoccupazione cresceva per le irresponsabili politiche
di austerità; mentre, insomma, i cittadini di questo nostro sofferente Paese
vivevano drammi quotidiani, il PD, per ammissione del suo segretario, ha avuto funzione «cuscinetto
sulle questioni sociali».
Chiaro no? Il PD, in tutto
questo tempo in cui Monti ha governato, ha assunto consapevolmente il ruolo di
imbonitore. In pratica Bersani e compagnia hanno vestito i panni di ciarlatani
al servizio delle peggiori politiche di austerità, quelle che hanno aggravato la
crisi ed hanno peggiorato le condizioni di vita di milioni di persone per
rastrellare soldi da versare nelle casse delle banche private.
Il ruolo del PD è palese:
fermare l’alternativa a quelle politiche di Monti che prendono ai molti poveri per dare
a pochi ricchi. Fermare il possibile cambiamento. Al PD ed alla destra, che rappresentano, entrambi, la logica reazionaria del liberismo,
occorre dunque opporsi costruendo una reale alternativa politica che non usi
mezzi termini. Cambiare si può e si deve.
0 commenti:
Posta un commento