Contratti senza causale: e se venisse usato per sostituire lavoratori in sciopero?

Scontro Marcegaglia-Monti? Ma no, piccole scaramucce, tra un banchiere che ha il pensiero di come far pagare la crisi a lavoratori e pensionati, studenti e disoccupati; ed una industriale che ha in mente il lavoro come mera merce e che perciò vorrebbe trovarlo al mercato come si acquista un chilo di mele, che poi si mangiano e ne butti il torsolo nel secchio della spazzatura. Monti conferma che la "lady di ferro" avrebbe voluto la «sparizione complessiva della parola reintegro dal panorama italiano». Non basta alle aziende, come sottolinea Monti tranquillizzando gli industriali, «che la permanenza di questa parola è riferita a fattispecie estreme e improbabili». Insomma, il motivo del battibecco è se sia il caso o no che ai lavoratori si prefuguri quello scenario dantesco, per cui debbano lasciare ogni speranza entrando in una azienda.

In realtà che l'uccello padulo sia stato liberato affinchè voli tra i lavoratori ad altezza di deretano, lo spiega candidamente la stessa Marcegaglia, quando afferma che, stando così la riforma, le aziende non rinnoveranno i contratti e non assumeranno. Più o meno un ricatto da rapinatore che minaccia di uccidere l'ostaggio.

Unica nota positiva, secondo gli industriali, è l'esenzione dell'obbligo di descrivere la causale del contratto a termine. Certo, detta così da industriale «si tratta di ben poca cosa». In realtà è presumibile un abuso (in un contesto già abusato) del contratto a termine, a cui si dovrebbe (ad oggi, in ragione del D.Lgs. 368/2001) fare ricorso solo «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo», che devono evidentemente avere carattere temporaneo. Ma se viene a mancare, per effetto della riforma Fornero, l'atto scritto «nel quale sono specificate le ragioni» che consentono «l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato», è chiaro che all'azienda si da mano libera al ricorso dei contratti a termine.
Oviamente la parte padronale non ne fa cenno, ma sarebbe interessante capire se l'esenzione dall'obbligo di indicare la causale del contratto a termine, non possa essere usata per eludere il divieto (imposto dall'articolo 3 del D.Lgs 368/2001) di fare ricorso ai contratti a termine, ad esempio per sostituire lavoratori in sciopero.
Se appare un'ipotesi esagerata, si ricordi che limitare o aggirare il diritto di sciopero è pur sempre un vecchio sogno padronale, in parte già realizzato da Fiat che con l'accordo firmato a dicembre 2011 con Cisl, Uil, Fismic e Ugl impone già, di fatto, forti limitazioni al diritto di sciopero.

Legittimo licenziamento illegittimo. La nuova formulazione dell'articolo 18


maurobiani.it
Mistificare sembra essere la parola d’ordine del PD, il giorno dopo la conferenza stampa tenuta dal presidente del Consiglio Mario Monti e dalla ministra del Lavoro Elsa Fornero. "Il principio del reintegro c'è", è la dichiarazione del segretario del PD, Bersani. "Torna il reintegro per i licenziamenti economici. Hanno vinto il buonsenso e la determinazione", gli fa eco il capogruppo dello suo partito alla Camera, Dario Franceschini. Piccole parti di verità che nascondono grosse omissioni.

In realtà il disegno di legge del governo contiene, ai fini del reintegro, una procedura farraginosa, incerta e limitata a casi molto limitati. In pratica si sta parlando di modifiche gattopardesche ed intanto il Ddl è ora in mano al presidente della Repubblica. Perché, visto che non è quello il percorso previsto per l’iter normativo? Viene da pensare che il vero regista di tutta questa faccenda sia proprio Giorgio Napolitano, che nelle scorse settimane non ha mai perso occasione per richiamare sindacati, industriali e partiti a non intralciare il corso della riforma del mercato del lavoro.

In buona sostanza, a parte l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione, che solo nel caso non andasse a buon fine consentirebbe il ricorso al giudice, l’impianto normativo ipotizzato per i licenziamenti individuali rimane lo stesso già abbozzato nelle scorse settimane dal governo. Le piccole modifiche riguardano solo i licenziamenti giustificati dall’azienda con motivazioni economiche. Secondo il Ddl, il giudice ha facoltà (non l’obbligo) di ordinare al datore di lavoro il reintegro del lavoratore licenziato, solo “nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”. Nel caso il Dddl venisse approvato in Parlamento in questa formulazione, l’insussistenza del motivo oggettivo (economico), in sede processuale, non basterà più a far rientrare al lavoro chi è stato illegittimamente licenziato. Occorrerà che la non sussistenza del motivo del licenziamento sia manifesto, ossia non ci siano dubbi che il motivo sia infondato. In pratica, nel caso in cui in sede processuale il datore di lavoro non dissiperà ogni dubbio circa l’insussistenza delle motivazioni addotte il licenziamento, il lavoratore non potrà essere reintegrato. L’illegittimo licenziamento diverrebbe legittimo per insufficienza di prove.

In sostanza sull’articolo 18 cambia davvero pochissimo e quelle modifiche, per quanto si rallegrino dalle parti del PD, non serviranno affatto a tutelare i lavoratori ingiustamente licenziati. Ne da conferma Il Sole 24 Ore di oggi (5 aprile) , che in una schematica quanto efficace “valutazione dell’impatto delle misure”, giudica le  proposte di modifica all’articolo 18 come peggiorative per la tutela dei lavoratori e migliorative per le aziende. L’organo ufficiale della voce dei padroni non ha bisogno di nascondersi dietro un dito, come tocca fare al PD, né dietro un imbarazzante silenzio, come sta facendo finora la Cgil.
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