Quando si parla e soprattutto quando si partecipa alle
commemorazioni della Giornata del Ricordo, il 10 febbraio di ogni anno, si
dovrebbe innanzitutto (o quanto meno) tenere presente di cosa si sta
celebrando. Ovviamente la propaganda patriottarda e neo-irredentista racconta
la storia dell’esodo degli italiani dell’Istria e della Dalmazia dalle
persecuzioni titine. Ma intanto occorre tenere a mente cosa rappresenta storicamente il
10 febbraio.
La Giornata del Ricordo nasce in sostanziale contrapposizione alla
giornata della memoria del 27 gennaio. Non è casuale la vicinanza delle due
ricorrenze e abbastanza evidente dovrebbe apparire la contrapposizione. Il 27
gennaio è il giorno in cui l’Armata rossa entra ad Auschwitz, libera il campo
di sterminio e mette davanti agli occhi del mondo la barbarie nazista; il 10
febbraio, per contro, è il giorno del 1947 durante il quale venne firmato il
trattato di pace di Parigi, a seguito del quale l’Italia sconfitta nella Seconda Guerra
Mondiale nel quale era stata precipitata dal fascismo, dovette cedere alla
Jugoslavia vincitrice del conflitto gran parte dei territori dell’Istria che
erano stati conquistati dall’Italia nella sua guerra imperialista: la Prima Guerra Mondiale.
È chiaro, quindi, quali riferimenti storici stiano alla
base delle celebrazioni della giornata del ricordo: quelli dell’imperialismo
italiano, sconfitto con il fascismo nella Seconda Guerra Mondiale. È a questa
sconfitta (dell’imperialismo e del fascismo) che i “foibologi” non vogliono
rassegnarsi. Non è un caso che fu Roberto Menia il primo firmatario nel 2003
della proposta di Legge per l’istituzione della giornata del ricordo, lo stesso
che nel 1992, quand’era segretario della federazione del Msi-Dn di Trieste,
insieme a Gianfranco Fini (allora segretario nazionale dello stesso partito),
lanciava bottiglie in mare al largo di Istria contente il seguente messaggio: «Istria, Fiume, Dalmazia: Italia!... Un
ingiusto confine separa l'Italia dall'Istria,
da Fiume, dalla Dalmazia,
terre romane, venete, italiche. La Yugoslavia [Jugoslavia con Y nel testo originale]
muore dilaniata dalla guerra: gli ingiusti e vergognosi trattati di pace
del 1947 e di Osimo del 1975 oggi non valgono piu'.. E' anche il nostro
giuramento: "Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!"». Non è
un caso che ancora Gianfranco Fini, mentre ricopriva la carica di presidente
della Camera, nel corso della cerimonia di inaugurazione del monumento a Norma
Cossetto il 21 febbraio 2009 affermò che
«Nostra intenzione è riportare in terra d'Istria non il tricolore di Stato,
ma il dialetto, la memoria patria, la cultura, senza spirito aggressivo
(...) ricordando però che l'Istria è terra veneta, romana, dunque italiana.» [1]
Prima ancora di parlare di italiani infoibati ed esiliati
in quanto tali dal territorio jugoslavo, occorre quindi tenere bene a mente da
dove nasce la Giornata
del Ricordo, cioè da un mai sopito spirito nazionalista e revanscista. Basta a tal proposito farsi un giro sul sito dell'Associazione
Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), che si definisce
come «la maggiore rappresentante sul territorio nazionale degli italiani
fuggiti dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia». [2] L’Anvgd, gonfiando come al
solito i numeri sul cosiddetto esodo degli italiani e sulla loro morte nelle
foibe, considera importante il giorno del ricordo perché «riporta sotto i
riflettori quei dolorosi eventi ma nel contempo anche i valori di identità
nazionale [e] le parole foibe ed esodo istriano, fiumano e dalmata vengono
ravvivate nel loro significato più drammaticamente profondo ma nel contempo in
una fiduciosa prospettiva per il futuro». C’è da chiedersi (retoricamente) se
la «fiduciosa prospettiva per il futuro» a cui fa riferimento l’Anvgd faccia
riferimento all’articolo 2 del proprio statuto con il quale l’associazione si
propone di «compiere ogni legittima
azione che possa agevolare il ritorno delle Terre Italiane della Venezia
Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria». [3] Se non è
irredentismo questo…
E allora è necessario che la Giornata del Ricordo
venga sottratta al mito e riconsegnata alla storia. E la storia, ripulita dalle
menzogne, dalle falsificazioni e dalle narrazioni ad uso e consumo del
neoirredentismo e del neofascismo, dimostra che la minaccia e la teorizzazione
dell’infoibamento viene dal nazionalismo italiano in quelle terre fin
dall’inizio del secolo scorso [4]. Soprattutto, però, la storia, che non può essere
decontestualizzata, dovrebbe ricordare che il fascismo teorizzava il genocidio
del popolo slavo, considerato «razza inferiore e barbara come
la slava» contro il quale, affermava
Mussolini già nel 1920, «non si deve
seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini
dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io
credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».
E la storia, ripulita dalla falsificazioni neofasciste, dimostra quali
politiche di italianizzazione forzata dovettero subire le popolazioni slave
soprattutto con l’avvento del fascismo, quali persecuzioni; quali politiche di
deportazioni e fucilazioni di massa, distruzioni di interi villaggi in
conseguenza dell’occupazione delle terre istriane e dalmate da parte del
nazifascismo.
Riportare le foibe fuori dal mito significa affermare che
all’indomani dell’8 settembre 1943 e poi dopo la fine della guerra, vi furono
certamente, come afferma Claudia Cernigoi «esecuzioni
sommarie, vendette personali, e che i corpi degli uccisi furono anche gettati
nelle “foibe”. Il fatto è però che i morti non furono migliaia, come la
propaganda ha sempre sostenuto, ma tra i trecento ed i quattrocento» [5]; che i
cosiddetti infoibati avevano solitamente curriculum di squadristi, aguzzini,
torturatori, spie, collaborazioni nazifascisti. [6] Uccisi, in guerra, in una lotta
contro il nazifascismo e non contro gli italiani in quanto tali; che non vi fu,
quindi, alcun genocidio con migliaia di morti e che non vi fu alcun odio
anti-italiano, ma semmai vi fu lotta antifascista nel corso (forse è bene
ricordarlo) della Seconda guerra mondiale, il conflitto armato più barbaro che
la storia ricordi. Vi fu, cioè, una lotta di Resistenza contro il nazifascismo
e la sua barbarie.
Quando questa operazione di
smitizzazione viene portata avanti, si dimostra chiaramente che nessuna memoria
condivisa è possibile, perché significherebbe infangare la memoria storica
antifascista con le falsificazioni e con le teorizzazioni fasciste. Mentre
oggi, ancora oggi, a quasi 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e
dalla sconfitta del nazifascismo, abbiamo bisogno di affermare chiaramente i
valori della Resistenza e dell’antifascismo. Quei valori oggi contenuti nella
nostra Costituzione.
Non è un caso che proprio la Costituzione, ultimo
baluardo di democrazia istituzionale in Italia, sia messa in discussione con la
stessa meschinità, con gli stessi metodi subdoli con i quali viene messa in
discussione la memoria antifascista con il mito delle foibe. Se venisse a
mancare di senso la memoria storica antifascista, verrebbero a mancare di senso
immediatamente anche i principi
costituzionali antifascisti, di democrazia, di pari dignità sociale, di
pieno sviluppo della persona umana, di partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Karl Polanyi, antropologo hungerese, affermò che «La
soluzione fascista dell’impasse raggiunta dal capitalismo liberale può essere
descritta come una riforma dell’economia di mercato raggiunta al prezzo
dell’estirpazione di tutte le istituzioni democratiche tanto nel campo
dell’industria che in quello della politica. Il sistema economico che era in
via di disfacimento veniva così rivitalizzato mentre i popoli stessi venivano
sottoposti ad una rieducazione destinata a snaturare l’individuo e a renderlo
incapace di funzionare come unità responsabile del corpo politico.» [7] E' chiaro
quindi che la soluzione fascista è un’ipotesi sempre possibile.
Non è un caso che oggi, di fronte ad una memoria storica
antifascista compromessa, esattamente in un periodo di «impasse raggiunta dal capitalismo liberale», si tentino riforme in senso antidemocratico, sia in economia che in politica. Esempi molto chiari ne sono la proposta (speriamo senza efficacia) di una legge
elettorale (quella proposta da Renzi ed il pregiudicato Berlusconi) in
contrasto con la
Costituzione [8] e che limita la partecipazione effettiva dei
cittadini alla vita politica e rimuove il conflitto di classe per via
legislativa. Una legge elettorale che tenta di eliminare la possibilità che il
conflitto sociale venga rappresentato in Parlamento come era nelle intenzioni
dei costituenti. E non è un caso che Marchionne possa bellamente minacciare di
lasciare l’Italia all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale che
impone alla Fiat il rispetto del diritto sindacale previsto dalla Costituzione [9].
Non è nemmeno un caso che una banca d’affari come JP Morgan possa permettersi
di “suggerire” di rimuovere i principi antifascisti contenuti nella nostra
Costituzione [10] per affermare liberamente politiche economiche di austerità che da
anni stanno compiendo un vero e proprio massacro sociale.
Ecco quindi l’attualità dell’antifascismo ed al tempo
stesso la necessità di non cedere un millimetro di fronte alle spinte
bipartisan che vorrebbero imporre un’impossibile memoria condivisa. Nel Giorno
del Ricordo, non cedere al revisionismo neofascista e neoirredentista e
riportare le foibe fuori dal mito significa appunto questo: difendere la
memoria antifascista. Necessaria oggi anche per difenderci dalle politiche
antisociali in atto e per lottare contro di esse.
Carmine Tomeo
[6] Cfr. CLAUDIA CERNIGOI, Operazione foibe. Tra storia e mito, Udine, Kappa Vu, 2005
[7] KARL POLANYI, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 2010
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