«Nell'intervista odierna al
quotidiano statunitense il ministro ha fatto riferimento alla tutela del
lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro». È la
precisazione che arriva dal ministero del Lavoro, a stretto giro dalle
dichiarazioni della ministra Fornero, che in un’intervista al Wall Street
Journal aveva affermato che «il lavoro non è un diritto, deve essere
guadagnato, anche attraverso il sacrificio». Se l’ho capita bene, questa
precisazione rimane del tutto inutile, rispetto alle giustificazioni della
Fornero, che nella stessa nota ha cercato di spiegare che «Il diritto al
lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto
quanto affermato dalla nostra Costituzione».
Giuseppe Di Vittorio, oggi più
che mai compianto segretario generale della Cgil, probabilmente spiegherebbe alla
Fornero quanto scrisse nel 1952, nei giorni del congresso della Cgil, e cioè che
la Carta
costituzionale «garantisce
a tutti i cittadini, lavoratori compresi una serie di diritti che nessun
padrone ha il potere di sopprimere o di sospendere. Non c’è e non ci può essere
nessuna legge la quale stabilisca che i diritti democratici garantiti dalla
Costituzione siano validi per i lavoratori soltanto fuori dalla azienda». In sostanza, non può esserci
differenza, nella garanzia dei diritti del lavoro costituzionalmente sanciti,
tra quanto avviene nel cosiddetto mercato del lavoro e quanto avviene sul posto
di lavoro.
Ma questo, evidentemente, è un concetto che non può essere chiaro
alla ministra Fornero, così ubriaca di neoliberismo da vedere, nel mercato del
lavoro, solo curve di domanda e offerta e diagrammi e numeri e non anche, come
dovrebbe essere, uomini e donne in carne ed ossa che quando parlano di “lavoro”
pensano alla “dignità”.
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