Bene, lo sciopero generale del 6 settembre scorso contro la manovra economica è riuscito. L’adesione è stata alta e la presenza alle manifestazioni in tutta Italia è stata massiccia. Intanto in questi giorni nelle aule parlamentari prosegue l’iter della manovra, che per essere veloce come richiesto da Mario Draghi per bocca del presidente Napolitano, passerà attraversò l’ennesimo voto di fiducia del governo Berlusconi. Come se centinaia di migliaia di persone non fossero scese in piazza a protestare contro questa manovra da macelleria sociale.
Bene lo sciopero di ieri. Ma non basta. Primo perché ovviamente la lotta per la giustizia sociale non può concludersi con una forte protesta alla manovra economica (che per altro, come dicevo, verrà approvata con il consenso di molta parte delle forza sociali istituzionali); e questa insufficienza introduce la seconda questione: quella legata al lavoro.
Lo sciopero dovrebbe rappresentare la forma di lotta più forte a disposizione dei lavoratori. Si tratta di un diritto individuale, ma la sua efficacia è data solo da una pratica collettiva. Il punto è che la generalizzazione di questa forma di lotta è sempre meno scontata e non potrebbe essere altrimenti, vista la lunga e continua scelta di sacrificare i diritti dei lavoratori sull’altare di una millantata crescita economica. Che tradotto in volgare dal sindacal-politichese ha sempre significato più produttività, più precarietà, più sacrifici per i lavoratori, meno stato sociale.
La stessa Cgil che ha promosso, proclamato e fatto lo sciopero generale contro la manovra economica, ha accettato praticamente sempre in questi ultimi anni la concertazione basata sulla messa in discussione di diritti dei lavoratori. Addirittura schierandosi anche apertamente contro le lotte sindacali che la Fiom ha continuato a condurre quasi sola, mentre la confederazione ha spesso cercato di normalizzare i metalmeccanici. L’accordo dello scorso 28 giugno, che sancisce la possibilità di derogare al CCNL praticamente ogni volta che si vuole, non è che l’ultimo esempio in tal senso.
Quindi: bene lo sciopero di ieri; ma non basta. Perché una svolta reale può esserci solo da una ripresa della lotta che deve essere di classe, che il capitale continua a condurre in tal senso e che produce le sue crisi ed i suoi disastri. E la stessa manovra economica italiana (come anche, ad esempio, quella greca) è tutta dentro la strategia e la logica capitalistica, tanto che in essa è contenuta anche la deroga all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Ma affinchè sia possibile una lotta di classe, occorre avere ben chiara la distinzione tra capitale e lavoro ed il loro inevitabile conflitto. Una distinzione che è stata man mano sfumata da una concertazione sindacale di stampo produttivistico. Prima che venga del tutto offuscata quella irriducibile distinzione, sarà bene riprendere il conflitto sociale con un punto di vista di classe. Altrimenti scioperi e manifestazioni come quelli di ieri rischiano di rimanere semplici testimonianze popolari.
Bene lo sciopero di ieri. Ma non basta. Primo perché ovviamente la lotta per la giustizia sociale non può concludersi con una forte protesta alla manovra economica (che per altro, come dicevo, verrà approvata con il consenso di molta parte delle forza sociali istituzionali); e questa insufficienza introduce la seconda questione: quella legata al lavoro.
Lo sciopero dovrebbe rappresentare la forma di lotta più forte a disposizione dei lavoratori. Si tratta di un diritto individuale, ma la sua efficacia è data solo da una pratica collettiva. Il punto è che la generalizzazione di questa forma di lotta è sempre meno scontata e non potrebbe essere altrimenti, vista la lunga e continua scelta di sacrificare i diritti dei lavoratori sull’altare di una millantata crescita economica. Che tradotto in volgare dal sindacal-politichese ha sempre significato più produttività, più precarietà, più sacrifici per i lavoratori, meno stato sociale.
La stessa Cgil che ha promosso, proclamato e fatto lo sciopero generale contro la manovra economica, ha accettato praticamente sempre in questi ultimi anni la concertazione basata sulla messa in discussione di diritti dei lavoratori. Addirittura schierandosi anche apertamente contro le lotte sindacali che la Fiom ha continuato a condurre quasi sola, mentre la confederazione ha spesso cercato di normalizzare i metalmeccanici. L’accordo dello scorso 28 giugno, che sancisce la possibilità di derogare al CCNL praticamente ogni volta che si vuole, non è che l’ultimo esempio in tal senso.
Quindi: bene lo sciopero di ieri; ma non basta. Perché una svolta reale può esserci solo da una ripresa della lotta che deve essere di classe, che il capitale continua a condurre in tal senso e che produce le sue crisi ed i suoi disastri. E la stessa manovra economica italiana (come anche, ad esempio, quella greca) è tutta dentro la strategia e la logica capitalistica, tanto che in essa è contenuta anche la deroga all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Ma affinchè sia possibile una lotta di classe, occorre avere ben chiara la distinzione tra capitale e lavoro ed il loro inevitabile conflitto. Una distinzione che è stata man mano sfumata da una concertazione sindacale di stampo produttivistico. Prima che venga del tutto offuscata quella irriducibile distinzione, sarà bene riprendere il conflitto sociale con un punto di vista di classe. Altrimenti scioperi e manifestazioni come quelli di ieri rischiano di rimanere semplici testimonianze popolari.
0 commenti:
Posta un commento