Come sempre accade, il rapporto annuale dell’Inail sollecita facili entusiasmi.
Quest’anno non è andata diversamente. Enfaticamente Marco Fabio
Sartori, presidente dell’Inail, ha dichiarato che «per la prima volta
dal dopoguerra, nel 2010, la soglia dei morti sul lavoro è scesa sotto i
mille casi-anno».
Addirittura il ministro Sacconi ha parlato di
«dati incoraggianti», dovuti al fatto che «cresce la cultura della
prevenzione malgrado il pressing della competizione». Un modo come un
altro per raccontare la favola che si possono aumentare i ritmi di
lavoro e ridurre i diritti dei lavoratori, senza causare danni alla loro
salute e senza rischi per la loro incolumità.
Ma cosa
dice, in sintesi, il rapporto annuale Inail? Mostrerebbe, dati alla
mano, un calo degli infortuni sul lavoro e delle morti ipocritamente
definite bianche. E’ segnalato nel 2010, rispetto all’anno precedente,
un calo degli infortuni di oltre 14mila casi (nel 2009 erano 790.112) e
conta 980 morti sul lavoro (contro i 1053 del 2009). A Sartoni e Sacconi
pare sufficiente per fare intendere che la strada intrapresa contro gli
infortuni è quella giusta. Vediamo se ci sono le giustificazioni.
Intanto sarà appena il caso di citare lo stesso rapporto Inail, il quale precisa che “i dati potranno considerarsi definitivi solo con l’aggiornamento al 31 ottobre dell’anno in corso” e che i 980 morti sul lavoro sono frutto di “stime previsionali”.
Il motivo è che considerando i decessi avvenuti entro 180 giorni dall’infortunio, “le statistiche relative ai casi mortali del 2010 non sono ancora complete”. Ma proviamo ad entrare nel merito dei numeri.
Il
“sensibile calo” del numero degli infortuni e delle morti sul lavoro,
non ha senso se mostrato solo nei suoi valori assoluti. Trascuriamo
in questa occasione il discorso del lavoro nero, una piaga sociale che
causa un elevatissimo numero di infortuni e morti sul lavoro: le cifre
sono solo stimabili e si può dire che difficilmente potrebbero entrare
in un rapporto ufficiale.
Sappiamo però che la crisi economica ha
prodotto migliaia di disoccupati e molte migliaia di ore lavorate in
meno. Questo dato non può essere lasciato da parte. Come utilizzarlo?
Come richiesto da standard riconosciuti, e cioè considerando quanti
infortuni sono avvenuti per milione di ore lavorate e quanti per ogni centomila lavoratori. Si ha così un dato realmente raffrontabile. Eseguendo
questo semplice rapporto, si nota come quei facili entusiasmi di cui si
diceva non abbiano ragion d’essere.
Considerando i dati
dell’Istat su ore lavorate e numero di lavoratori dipendenti, la fredda
statistica racconta che il 2010 ha fatto registrare 25,6 infortuni ogni
milione di ore lavorate, praticamente come il 2009 (quando erano stati
25,9). I dati infortunistici non migliorano se messi in rapporto con il
numero di lavoratori, per cui, ogni 100mila dipendenti si sono
infortunati in 41 nel 2010, come nel 2009. E per ogni 100mila
dipendenti, nel 2010 sono morte sul lavoro poco più di 5 persone (5,5 è
il rapporto nel 2009). E stiamo prendendo in considerazione i soli dati Inail.
Se
considerassimo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle
morti per infortuni sul lavoro, che ha contato non 980 infortuni
mortali, ma ben 1080, la situazione sarebbe ben peggiore.
Un
dato da non sottovalutare è quello delle malattie professionali, troppo
spesso messe in secondo piano nelle analisi sulle condizioni di salute e
sicurezza sul lavoro. In realtà si tratta di una piaga enorme, che ogni
anno, per migliaia di persone significa inabilità permanente al lavoro.
Le malattie denunciate nel 2010 sono cresciute del 22%
rispetto all’anno precedente e di queste il grosso (oltre il 60%) è
rappresentato da disturbi muscolo-scheletrici riconducibili
all’intensità dei ritmi di lavoro. Un dato che dovrebbe rappresentare un
monito per i sindacati “complici” (come li definì Sacconi) che hanno
firmato gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, che di fatto
intensificano i carichi di lavoro e che l’accordo del 28 giugno con
Confindustria (ed in questo caso anche Cgil) potrebbe estendere a tutto
il mondo del lavoro.
E’ quindi facilmente intuibile che
quegli accordi, mentre faranno accrescere le produttività aziendali,
favoriranno anche la crescita delle patologie muscolo-scheletriche, creando un esercito di lavoratori con la salute compromessa e scartati spesso dal ciclo produttivo. I costi sociali sono già enormi (circa il 2% del PIL in Europa) e sono pagati dalla collettività.
Non solo: quella delle malattie professionali è una piaga che uccide.
Solo per il 2010 l’Inail ha indennizzato 383 casi di morte per malattie
professionali, ma “la ‘generazione completa’ di morti per patologie
professionali denunciate nel 2010 è destinata, nel lungo periodo, ad
attestarsi intorno alle 1.000 unità”, come ammette l’ente nel suo
rapporto.
Insomma, «dati incoraggianti» possono essere
letti solo con gli occhi di Sacconi, che nel 2008, quando ancora non era
ministro, si era affrettato a dare giudizi negativi sul Testo Unico
della sicurezza sul lavoro, tra le poche note positive del governo
Prodi. La promessa conseguente di colui che sarebbe stato il ministro
del Lavoro dell’attuale governo Berlusconi, è stata quella di
ridiscutere quel testo normativo. Quella promessa fu mantenuta: il Testo
unico sulla sicurezza lavoro è stato praticamente destrutturato nel
2009. Le conseguenze della riscrittura del Testo Unico stanno anche nei
numeri che abbiamo citato.
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Infortuni sul lavoro. Come il ministro rovescia la frittata
Posted by Carmine Tomeo
Posted on 15.7.11
with 1 comment
una vergogna che sta nel silenzio...
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