In Italia
si muore con più frequenza e più probabilità sul lavoro che in guerra. Se sei
un muratore attrezzato di cazzuola in un cantiere edile, rischi la vita più di
un soldato armato di fucile al fronte. Soprattutto se l’azienda per cui lavori
è una piccola impresa.
I dati
disponibili fotografano chiaramente questa condizione di rischio dei lavoratori
italiani e lo stesso rapporto Inail 2010 (ultimo disponibile) specifica che
nelle piccole aziende sono i luoghi di lavoro “dove più elevato è il rischio
infortunistico”. Ma proprio per queste realtà è stata, ancora una volta,
prorogato il termine per la redazione del documento di valutazione dei rischi,
obbligatorio in ogni azienda.
Nello
specifico, il Testo Unico su salute e sicurezza sul lavoro, prevede, per le
aziende fino a 10 dipendenti, di effettuare la valutazione dei rischi “sulla
base di procedure standardizzate” che la Commissione consultiva permanente per la salute e
sicurezza sul lavoro avrebbe dovuto elaborare “entro e non oltre il 31 dicembre
2010”. Obbligo abbondantemente disatteso. In mancanza di tali procedure, le
imprese che occupano fino a 10 dipendenti avrebbe potuto “autocertificare
l’effettuazione della valutazione dei rischi”, ma solo fino al prossimo 30
giugno. Scaduti questi termini, ed in assenza delle procedure standardizzate, anche
le piccole imprese avrebbero dovuto adempiere all’obbligo di effettuare la
valutazione dei rischi ai quali sono esposti i lavoratori, secondo procedure
ordinarie.
E invece interviene
il governo, che con il decreto legge n. 57 del 12 maggio 2012, rinvia, ancora,
questo obbligo per le imprese fondamentale ai fini della tutela della salute e
dell’incolumità dei lavoratori. Il presidente Monti ed i ministri Passera,
Fornero e Severino hanno ritenuto di “straordinaria necessità
ed urgenza” la possibilità di evitare “che i datori di lavoro
che occupano fino a 10 lavoratori […] siano obbligati, a decorrere
dal 1° luglio 2012, ad elaborare il documento di
valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie”. Consideriamo qualche
dato e vediamo quant’è giustificata la necessità e l’urgenza di rinviare
l’obbligo, a carico dell’impresa, di elaborazione di una valutazione rischi.
La “Indagine
integrata per l’approfondimento dei casi di infortunio mortale sul lavoro anni
2002-2005” elaborata congiuntamente da Ispesl, Inail e Regioni è emerso che
“più dell’85% degli infortuni mortali e del 70% di quelli gravi sono infatti
avvenuti in aziende fino a 9 addetti”. Questi dati sono stati praticamente
confermati in un rapporto presentato nel 2010 in un convegno promosso dalla
Camera di commercio di Milano. In quell’occasione si è messo in evidenza che,
per ogni mille lavoratori, avvengono 30 infortuni nelle grandi aziende e più
del doppio nelle imprese che occupano fino a 15 lavoratori.
È
evidente, in queste condizioni, che la necessità non è quella di rinviare
ulteriormente un fondamentale obbligo aziendale: quello di elaborare una valutazione,
al fine di prevenire, eliminare o ridurre al massimo, i rischi ai quali i lavoratori
sono esposti. L’alta incidenza infortunistica nelle piccole imprese impone la
necessità e l’urgenza di tutelare i lavoratori da malattie professionali ed
infortuni sul lavoro, che deve essere perseguita imponendo il rispetto delle
norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Concedere deroghe
a tali obblighi, significa invece considerare la tutela dell’integrità fisica
dei lavoratori variabile dipendente dal basso costo del lavoro, perseguiti,
troppo spesso e ancora una volta, attraverso deroghe o inadempimenti agli
obblighi in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
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