Anche quest’anno il rapporto
annuale dell’Inail non regala sorprese. Il numero degli infortuni mortali
occorsi sul lavoro è dato in forte calo. Inutile stare a sottolineare le rituali frasi di
pacato entusiasmo (si parla pur sempre di infortuni e morti), la retorica
istituzionale e l’ipocrisia ad essa sottesa. Si penserà che il rapporto Inail
non regala sorprese perché come ogni anno si registrano infortuni in calo,
specie mortali? No, l’esatto contrario: nessuna sorpresa perché il calo degli
infortuni mortali è solo apparente; perché la lettura dei dati che in genere
viene fatta rimane superficiale; perché il lavoro in Italia rimane troppo
insicuro, per la salute e sicurezza dei lavoratori. Oltre agli infortuni, un altro dato preoccupante che sottolinea l'insicurezza dei luoghi di lavoro, è l'aumento costante del numero delle malattie professionali denunciate all'Inail. Ma in questo caso l'impatto del dato nudo e crudo è immediato; più subdola è la presentazione dei dati relativi agli infortuni.
La superficialità con i quali
vengono diffusi non consente di notare come il calo degli infortuni mortali sia
solo apparente. Oggi si mostra come nel 2011 gli infortuni mortali siano
diminuiti rispetto all’anno precedente, fino a toccare il minimo storico di 920
morti sul lavoro (contro i 973 dell’anno precedente). Come ogni anno si
potrebbe sottolineare lo scostamento tra i dati forniti dall’Inail e dall’Osservatorio
indipendente sulle morti sul lavoro di Bologna, che registra 1170 morti sul
lavoro nel 2011. Quel che è soprattutto interessante notare, però, è che i
numeri assoluti non forniscono alcuna indicazione sull’andamento
infortunistico. Ormai viene sottolineato da più parti: a determinare il calo
degli infortuni sul lavoro contribuisce molto la crisi economica. In effetti,
per capire se miglioramenti ci sono stati, occorre mettere in rapporto gli
infortuni con il numero di occupati e soprattutto con le ore effettivamente
lavorate, specie di questi tempi che la cassa integrazione incide in maniera
pesante sul monte ore di lavoro totale. Così facendo si nota subito quel che si
diceva sopra: la riduzione del numero degli infortuni mortali è solo apparente.
Può apparire cinica la fredda
statistica mentre si parla di morti sul lavoro, ma lascia ben intendere l’effettiva
condizione di sicurezza (o insicurezza) nei luoghi di lavoro. Ed a leggere i dati forniti da
Inail e Istat mostrano come il numero di morti sul lavoro rispetto al totale
degli occupati sia variato di poco: se nel 2010 sono morti sul lavoro 4,3 lavoratori (mi si perdoni la freddezza dei numeri) ogni centomila occupati, il
rapporto non cambia di molto nel 2011 (4 morti ogni centomila occupati). Ma più
interessante ancora, e soprattutto più efficace considerato l’elevato numero di
ore di cassa integrazione erogate in questi anni, è mettere in rapporto gli
infortuni mortali con le ore effettivamente lavorate. Si scopre così che ogni
centomila ore effettivamente lavorate (quindi al netto delle ore di Cig, delle
ore di sciopero, delle ferie, ecc.) si sono verificati 2,5 infortuni mortali
nel 2010, contro i 2,6 del 2011. Sostanzialmente non ci sono stati
miglioramenti. Né si notato variazioni nel rapporto tra infortuni mortali ed il
totale degli incidenti sul lavoro: ogni 1000 infortuni occorsi, 1,3 ha avuto conseguenza
mortali nel 2010 come nel 2011.
Questi numeri mostrano come in Italia si continui a morire sul lavoro con la stessa frequenza
oggi come ieri, ed al netto delle ipocrisie istituzionali si continua a morire da paese che non ha civiltà del lavoro.
Ma per stare a considerazioni più dirette, quei dati impongono di indagare meglio il fenomeno infortunistico nel suo
complesso. La drastica riduzione del numero totale di infortuni sul lavoro
legittima più di una ipotesi. Nel migliore dei casi si dovrebbe considerare che
a diminuire sono gli infortuni minori. Ma ciò significherebbe che i livelli di
sicurezza nei luoghi di lavoro non sarebbero granché migliorati; nella peggiore,
e pure non peregrina, ipotesi si dovrebbe considerare il fenomeno della mancata
denuncia dell’infortunio. Questa seconda ipotesi è tanto più sostenibile quanto
più sono ricattabili i lavoratori. Oggi, tenendo conto della grave crisi
economica e dei timori crescenti dei lavoratori di rimanere disoccupati, e
quindi delle pesanti condizioni di ricattabilità a cui i lavoratori sono
sottoposti, non si può non tenere in considerazione la possibilità di un forte “sommerso”
nella denuncia degli infortuni sul lavoro. E già da oggi, con l’articolo 18
dello Statuto dei Lavoratori così brutalmente manomesso dal governo e con il servile sostegno di PD, PDL e
Terzo polo, chissà quanto ancora diminuirà il numero degli infortuni nei luoghi
di lavoro nei prossimi mesi e anni…