Non è solo
rappresaglia, la decisione di Fiat di mettere in mobilità 19 lavoratori per far
rientrare in fabbrica altrettanti lavoratori iscritti alla Fiom e discriminati
dall’azienda al momento di fare le assunzioni per la Newco di Pomigliano d’Arco. C’è
di fatto un’ideologia di fondo che scarica ogni problema sui lavoratori e che
quindi, considerati strumenti per il profitto, possono essere buttati fuori dal
ciclo produttivo quando di quello strumento non c’è più bisogno. È una
questione che si evince abbastanza chiaramente dall’ultimo comunicato Fiat.
C'è un crisi di
mercato - spiega la Fiat
- e perciò l'azienda ha una struttura che "è sovradimensionata
rispetto alla domanda del mercato italiano ed europeo". Pertanto, poiché
Fiat "non può esimersi dall’eseguire quanto
disposto dall’ordinanza" della Corte d'Appello di Roma
"e, non essendoci spazi per l’inserimento di
ulteriori lavoratori", sarebbe stata costretta ad avviare "una
procedura di mobilità per riduzione di personale". Insomma, c’è una crisi
di mercato e la famosa “mano invisibile” prende a schiaffi anche i diritti dei
lavoratori.
Secondo questa
logica, non è colpa di Fiat se c’è crisi di mercato e perciò, se non ti
accontenti di fare un lavoro senza diritti la colpa è tua, lavoratore
impenitente iscritto alla Fiom; lavoratore che non ti vuoi rendere conto che
meglio un lavoro senza diritti, che stare senza lavoro; che ti ostini a non
capire che chi non lavora non mangia. Per questa via, mettere i lavoratori gli
uni contro gli altri è un giochetto tanto meschino quanto semplice da mettere
in pratica. Facile, soprattutto se hai nella sostanza il favore di chi, a
parole, finge una timida difesa dei diritti dei lavoratori.
Pietro Ichino,
esponente di quel PD che ha votato, oltre i provvedimenti da macelleria sociale
del governo Monti, anche la manomissione dell’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori, afferma in sostanza su Il Foglio di oggi (2 novembre), che Fiat sbaglia
a discriminare chi è iscritto Fiom. “Ma - precisa subito Ichino - ha ragione anche Marchionne quando accusa la Fiom di aver fatto la guerra
fin dall’inizio”. Secondo il giuslavorista del PD, “logica e buon senso
avrebbero imposto che la Fiom
rinunciasse alla guerriglia giudiziaria”. Pertanto, stando al senatore del PD, da
parte di Fiat “non c’è rappresaglia”, in quanto “questa sentenza non può che
essere collocata in un conflitto lungo due anni”, durante i quali Fiat avrebbe
tentato la strada di nuove relazioni industriali, che Fiom non ha accettato. Ed
ora, secondo Ichino, chiedere a Fiat di rispettare una sentenza che restituisce
il diritto al lavoro a degli operai ingiustamente estromessi dalla fabbrica, “non
è ragionevole”, in quanto dovrebbe mantenere in organico “persone in eccesso
rispetto all’organico di cui ha bisogno” e per di più “in un periodo di crisi”.
Torna la logica, anzi l’ideologia, secondo la quale allo sporco lavoro
darwinista della “mano invisibile” non ci si oppone.
Un’ideologia
contenuta anche nella riforma del mercato del lavoro. Non è stata prestata
molta attenzione ad un passaggio della riforma la quale, mentre manomette l’articolo
18 dello Statuto dei Lavoratori, prevede che il lavoratore indennizzato per
essere stato ingiustamente licenziato, potrà essere risarcito di un’indennità
decurtata di “quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla
ricerca di una nuova occupazione”.
Per quanto oggi
la ministra Fornero finga di esprimersi contro il comportamento Fiat e per
quanto si agiti lo stato maggiore del Partito Democratico, l’una ha proposto e l’altro ha votato
una riforma del lavoro che va perfettamente nella direzione dell’ideologia che giustifica
la rappresaglia Fiat. La parte della riforma citata, non esprime
altro che il
concetto secondo il quale se non hai un lavoro non è colpa di altri se
non tua che non ne hai cercato un lavoro diligentemente. Quindi tanto
meno è colpa di un’azienda che ti ha cacciato, seppure ingiustamente. È
una logica, neoliberista e
accettata da destra fino ad un sedicente centrosinistra, che marginalizza chi
non ha un lavoro: perché senza lavoro non si mangia e se non mangi è colpa tua.
Ed in tempi di crisi la cui responsabilità è data strumentalmente ad un debito
pubblico che pure con le ricette di austerità di Monti si aggrava, se non hai
lavoro e percepisci un’indennità sociale rischi pure di essere additato come
parassita.
In una società
marchiata da questa ideologia, che mette ai margini
e fa sentire inutile chi non lavora secondo schemi capitalistici, Marchionne
sbatte fuori dal ciclo produttivo 19 persone (mettendole in quelle condizioni di
marginalità) e fa
sentire in colpa 19 persone che entrano al lavoro. Basta leggere o
ascoltare le dichiarazioni di chi sarà reintegrato al lavoro grazie alla
sentenza del giudice, che esprimono malessere al “pensiero che
qualcuno
potrebbe dover lasciare il proprio lavoro” per fare posto a chi ha
difeso un diritto suo e di tutti i lavoratori, a causa del ricatto Fiat.
In
questo modello, che Marchionne applica ferocemente
(e di fatto è solo questa ferocia che ogni tanto fa esprimere esponenti
politici altrimenti silenti e accomodanti), i lavoratori e le lavoratrici non
sono soggetti portatori di dignità. Sono, dentro o fuori la fabbrica,
strumenti per il profitto e per la dittatura padronale.
Una dittatura che,
appunto, va oltre il lavoro di fabbrica ed è ad un tempo totalitaria e totalizzante.
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