La volontà di innalzare l’età pensionabile, per risolvere i problemi economici del Paese ha dell’assurdo. Rispondere ai diktat europei colpendo la parte più povera della popolazione italiana è di per sé inaccettabile. Se solo ci fosse l’onestà di citare i dati divulgati dall’INPS attraverso il suo rapporto annuale, cadrebbero tutti gli argomenti che pretestuosamente si rivolgono alla necessità di mettere mano alle pensioni. Bastano pochi dati per mettere in mostra quando l’argomento pensioni sia pretestuoso ai fini dei conti pubblici.
Intanto non è vero che il
rapporto tra prestazioni pensionistiche e PIL sia così sfavorevole come viene
raccontato. Al netto delle prestazioni assistenziali, e quindi considerando
l’erogazione solo delle pensioni, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL,
stando al documento dell’Istituto di previdenza, è dell’8,75%. Ben al di sotto
di molti Paesi europei presi a esempio di buona gestione pensionistica. E non
bisogna dimenticare che l’INPS ha chiuso il 2010 con un saldo attivo di oltre
1.300 milioni di euro.
Mettere mano alle pensioni,
quindi, non solo interviene su un istituto che non è affatto in deficit né pesa
sull’economia italiana in maniera spropositata come vogliono farci credere.
Mettere mano alle pensioni, come dicevo, significa far pagare la crisi alla
parte della popolazione più debole. Più della metà dei pensionati, infatti,
riceve mensilmente meno di 500 euro al mese.
In queste condizioni, quindi,
spesso persone anziane sono costrette a continuare a lavorare, magari in
condizioni di maggiore precarietà rispetto a lavoratori più giovani, o
addirittura in nero. E’ ovvio che in una situazione di maggiore ricattabilità,
crescono anche i rischi legati alla sicurezza sul lavoro. Non è rara la morte
sul lavoro di persone in età da pensione e i dati dell’Osservatorio
Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro lo confermano. Dall’inizio
dell’anno fino ad oggi, sono morti sul lavoro più di 100 ultrasessantacinquenni.
Un dato che fa impressione già così. Parliamo di oltre il 20% di tutte le morti
sul lavoro registrate quest’anno dall’Osservatorio. Questi numeri prendono un
senso ancora più drammatico se confrontato con gli occupati per la classe di
età.
Considerando i dati Istat
sull’occupazione in Italia al secondo trimestre 2011, e messi a confronto con
le morti sul lavoro per classi di età, si nota un incremento costante degli
incidenti mortali sul lavoro superata la soglia dei 45 anni. La statistica
fredda e spietata mostra che se ogni 100mila occupati muoiono meno di due
lavoratori tra i 45 ed i 54, si muore con una frequenza doppia quando a
lavorare sono persone di età compresa tra i 55 ed i 65 anni. Un rapporto che sale spaventosamente per
gli ultrasessantacinquenni: ogni 100mila occupati sono in 30 a lasciare il luogo di
lavoro in una bara!
E in questo quadro che il governo
Berlusconi sta procedendo all’innalzamento dell’età pensionistica, per
rispondere alle esigenze monetarie e finanziarie imposte da un Europa guidata
in maniera sempre più violenta da “padroni del vapore”. Una politica impostata sul motto "produci, consuma e crepa".
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