da affaritaliani.it |
Ora Marchionne dice senza mezzi termini che quel piano non
è più sostenibile. L’Ad Fiat dichiara a Repubblica che non se la sente «di
investire in un mercato tramortito dalla crisi». Le auto non si vendono perché,
dice Marchionne, improvvisamente folgorato sulla via che conduce al baratro, «la
gente non ha più potere d'acquisto, magari ha perso il lavoro, i risparmi se ne
sono andati, non ha prospettive per il futuro. Ci rendiamo conto?». (Nota
retorica, ma necessaria: i lavoratori di Termini Imerese, quelli dell’Iribus,
quelli di Pomigliano e migliaia e migliaia di altri lavoratori se ne sono resi
conto da molto tempo. Diamo il benvenuto nella realtà a Sergio Marchionne). Non
se n’era accorto, l’Ad Fiat, che quando annunciò il piano Fabbrica Italia la
crisi era scoppiata già da un paio d’anni ed era stata da tempo definita come
la peggiore dal 1929? Certo, ma il manager italo-canadese, nel lanciare il
piano Fabbrica Italia, aveva puntato «su un mercato che reggeva». Diciamo che
Marchionne non può vantare doti di lungimiranza. E quei 20 miliardi di
investimenti, che non aveva, disse in un’intervista a Report del marzo 2011
ricordata da Francesco Paternò su Il Manifesto, li avrebbe dovuti fare «vendendo
macchine». Un qualsiasi foglio di calcolo darebbe un errore di “riferimento
circolare”; per Marchionne pare fosse una strategia di mercato.
Viste le virtù manageriali dell’Ad Fiat, non ci si poteva che
aspettare la seguente risposta, all’osservazione che «altri produttori europei
continuano a sfornare modelli», nonostante operino nello stesso mercato Fiat: «Con
un modello nuovo, nelle condizioni di oggi, magari avrei venduto trentamila
macchine di più, glielo concedo. Ma magari, mi conceda lei, avrei perso due
miliardi di più». Questa a Marchionne la concediamo, ma solo in parte e vediamo
perché.
Intanto è bene osservare che i produttori di auto che
detengono le maggiori quote di mercato europeo, sono anche le case
automobilistiche che hanno lanciato sul mercato nuovi modelli. Tanto per fare
qualche esempio solo per il 2012: il gruppo Volkswagen (cui fanno parte Audi,
Seat ed altri marchi), che detiene il 24% delle quote di mercato europeo dell’auto,
ha sfornato solo con il marchio Volkswagen ben sette nuovi modelli; il gruppo
PSA (Peugeot, Citroen) ha lanciato otto nuovi modelli e due restyling e detiene
il 12% del mercato europeo; Opel si accaparra l’8,3% della torta ed ha
progettato sei nuovi modelli. Fiat, che di quote di mercato continua a perderne
in maniera drammatica, ha lanciato la 500L ed il restyling della Panda. Una
vera e propria rinuncia a stare sul mercato.
Dicevamo, possiamo concedere a Marchionne la
considerazione dal lancio di nuovi modelli Fiat avrebbe perso molti soldi, pure
se avesse venduto migliaia di auto in più. Ma anche in questo caso il manager
Fiat non è privo di responsabilità. Un rapporto firmato dagli analisti di Morgan
Stanley diffuso qualche settimana fa, considerava Volkswagen un'eccezionale
opportunità di investimento a lungo termine; Fiat risultava essere la società
automobilistica peggio piazzata. Il motivo della pessima affidabilità di Fiat,
secondo gli analisti, sarebbe dovuta a posizioni finanziarie non eccellenti ed
alla scarsa varietà di modelli. Non basta, Fiat, insieme a PSA, detiene il
record negativo del rapporto prezzo/utili. Quest’ultimo aspetto è stato sottolineato
anche in una ricerca del Center of Automotive Research (Car) dell'Università di
Duisburg-Essen. Segnalata in un articolo della fine di agosto dell’agenzia di stampa
Reuters, la ricerca mostra che per ogni veicolo venduto Fiat perde 142 euro. Allo
stesso tempo Volkswagen guadagna 916 euro ogni auto che vende ed il gruppo fa
meglio con il marchio Audi, con il quale guadagna ben 4.242 euro a vettura
venduta.
Se questa è la condizione è chiaro che l’operaio che sta
alle presse o alla lastratura c’entra davvero niente con la crisi Fiat. La
politica di Marchionne, sostenuta nei fatti dal governo Monti, volta a
padroneggiare in fabbrica per abbassare il costo del lavoro, intensificando allo
stremo delle forze operaie i ritmi di produzione e puntando di fatto alla
riduzione dei salari, non solo è inutile ma risulta controproducente. Attraverso
quella strada si può contare di produrre auto a basso costo e perciò basso
valore aggiunto, mettendosi in concorrenza con le produzioni dei mercati
emergenti. Ma si tratta, nei fatti, di un vero e proprio suicidio, dal momento che, come abbiamo visto, si tratta di una produzione in perdita e comunque che non dà abbastanza utili per competere sul mercato dell'auto.
Insomma, a guardare i risultati parrebbe che l’investimento
prioritario di Fiat dovrebbe essere il licenziamento per giusta causa di Sergio
Marchionne.
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