Con
l’annunciata fine del piano Fabbrica Italia, la Fiat a guida Marchionne sta realizzando un
disegno di egemonia capitalistica. Marchionne, infatti, non è semplicemente un
amministratore delegato di un gruppo industriale; né è solo un uomo di finanza.
Marchionne mi pare possa essere considerato un “capitalista organico”. Non semplicemente
perché ha praticamente riunito in sé le due figure di capitalista di produzione
e finanziario, ma proprio perché, per dirla con Gramsci, è riuscito a stringere
una «connessione con il gruppo sociale cui [fa] riferimento». Il modo in cui il
governo sta affrontando il problema tragico dello smantellamento della
produzione italiana, richiama palesemente quella connessione. La ministra
Fornero, proprio come affermò Monti qualche tempo fa, spiega che «il governo
non può imporre le sue scelte a un'impresa privata» e si limita perciò a
chiedere spiegazioni all’Ad Fiat. Una richiesta di facciata che è una presa per
i fondelli per i lavoratori.
Marchionne,
in questi anni, ha operato in modo da ottenere un consenso intorno alla sua
strategia. Ha ottenuto finora quello che Gramsci considerava le condizioni per
la «egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso spontaneo
dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita
sociale dal gruppo fondamentale dominante 2) dell'apparato di coercizione
statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che non
consentono».
Al
fondo - lo spiega molto bene Paolo Ciofi - il principio ispiratore del piano
Fabbrica Italia non era il rilancio della produzione, ma era quello di
stabilire un «potere assoluto del capitale in fabbrica» per «rassicurare i
mercati e a far lievitare il titolo in Borsa», così da «rastrellare i mezzi
necessari ad assumere il controllo della Chrysler, come puntualmente si è
verificato». Attorno a questa necessità di potere assoluto, Marchionne ha
costruito un consenso, sia tra il suo gruppo sociale di riferimento e sia,
soprattutto attraverso i sindacati compiacenti, nei lavoratori che venivano
aizzati tra loro.
Già
nel luglio scorso Marchionne affermava di essere motivato a «fare uscire
l’Italia da questo buco nero», ma che per farlo aveva bisogno di «lavorare in
pace», come avviene – a suo dire – in tutto il mondo tranne che in Italia a
causa di relazioni sindacali da guerra ideologica. Si tratta di una delle
questioni per cui Fiat sarebbe andata a produrre la nuova 500L in Serbia.
Sappiamo benissimo che queste motivazioni sono state assunte anche dai
sindacati ormai da tempo scandalosamente "ingialliti". E quelle stesse motivazioni sono state
assunte da quegli stessi sindacati per provare compattare i loro iscritti
(tentativo fortunatamente non sempre riuscito), attraverso la paura della
delocalizzazione, contro i sindacati più combattivi come la Fiom e per far loro accettare
quelle riduzioni delle tutele sindacali e quel maggior grado di sfruttamento in
fabbrica, precondizioni per l’attuazione di quel, a dire poco fumoso, piano
Fabbrica Italia.
Quel
piano non si è mai concretizzato sul lato degli investimenti annunciati in
pompa magna. Invece, sul lato dell’affermazione del potere padronale in
fabbrica, Fabbrica Italia trovava una prima applicazione nell’accordo
interconfederale del 28 giugno 2011, firmato anche da quella Cgil che da anni
annuncia scioperi generali senza proclamarli, e che prevede la possibilità di accordi
in deroga al contratto nazionale ogni qualvolta sia richiesto da «esigenze degli specifici contesti
produttivi». Non è un caso che Emma Marcegaglia, allora presidente di
Confindustria, solo una settimana prima la firma dell’accordo, affermava che
quello sarebbe stata «una risposta alle esigenze corrette che la Fiat manifesta». Di lì a
qualche a mese il governo Berlusconi approva la cosiddetta “manovra di
Ferragosto” che contiene, all’articolo 8, lo smantellamento di qualsiasi forma
di tutela per i lavoratori. Con la manomissione dell’articolo 18, è stato
quindi messo il suggello alla «egemonia
sociale e del governo politico» portata avanti da Marchionne, quale testa
d’ariete di un capitalismo che non ha smesso di fare la lotta di classe.
La
rinuncia al piano Fabbrica Italia (la credibilità del quale poteva essere
accettata solo da organizzazioni ed esponenti sindacali e politici funzionali
alla strategia in stile Marchionne) e la disinvoltura con il quale è stata
annunciata, è l’affermazione più evidente del potere del capitale in fabbrica e
della egemonia sociale e politica. Opporsi a quel potere e a quell’egemonia
spetta al protagonismo del lavoratori. Ed in questo senso, i referendum per il
ripristino dell’articolo 18 e la cancellazione dell’articolo 8 assumono
un’importanza fondamentale per recuperare terreno sui rapporti di forza tra
capitale e lavoro. E guarda caso, ad opporsi o a muovere strumentali
perplessità sui quei quesiti referendari, sono quegli stessi soggetti che hanno
permesso in qualche modo che si realizzassero le ragioni latenti del piano
Fabbrica Italia.
Fellas, following time you buy the capsule, check
RispondiEliminawith your companions if they have to have 1.
This could double up the sale of your anti-impotence medicine
Cialis. A the latest acquiring indicates which the erectile dysfunction capsule which has pepped up the sexual existence of adult men is proving to get helpful in the event of females struggling from a
sexual disinterest. The research underlines which the medication functions
for ladies as much as it does in case of guys otherwise more.
Also visit my webpage :: erectionpillssummer.com