La notizia che ogni giornale in questi giorni pubblica in prima pagina riguarda il declassamento del debito italiano, da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s da un “A+” ad una semplice “A”. In sostanza Standard & Poor’s sta dicendo che chi oggi mette soldi in Italia, rischia maggiormente di non riaverli indietro. Gli effetti della classificazione sono ovvi: se il debito è a maggior rischio di insolvenza, il tasso del credito applicato sarà più alto, con effetti a cascata sull’economia del Paese.
Berlusconi lamenta il fatto che la declassazione del debito italiano «sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche». Insomma, colpa dei media e per ragioni politiche. E’ facile immaginare, e lo confermano le dichiarazioni di economisti e politologi di ogni sorta, che la credibilità del governo abbia un peso nella declassificazione. È anche certo che gli effetti politici non si sono fatti attendere.
È di ieri un sondaggio Ipsos secondo il quale tra i leader, gli italiani riporrebbero la loro fiducia innanzitutto su: Marcegaglia (55%); Draghi (51%); Montezemolo (50%); Tremonti (45%); Casini (43%). E gli effetti politici della valutazione dell’agenzia di rating, sono ancora più evidenti nelle dichiarazioni del giorno dopo, più o meno tutte incentrate sulla necessità di riforme, a partire proprio da Emma Marcegaglia che si accorge, con un ritardo di qualche anno, che il governo “macchietta” Berlusconi ha ridotto l’Italia ad essere «lo zimbello internazionale». Perciò la presidente di Confindustria, ormai stufa, lancia il suo aut aut: o «riforme serie e impopolari» nell'immediato «oppure questo governo deve andare a casa».
E riforme è la parola che accompagna i discorsi di quei leader che secondo i sondaggi sarebbero graditi agli italiani. Ed alle richieste di quei leader si registra il sostegno di accademici quali Alesina e Giavazzi che trovano spazio su quotidiani come il Corrieredella Sera per dire che occorrono riforme, ma che non sia l’introduzione della patrimoniale che «diffonderebbe la falsa impressione che le riforme non sono poi tanto urgenti». Sei matto a voler tassare i ricchi? Hai visto mai che poi gli italiani pensino che va tutto bene.
E quali sarebbero queste riforme urgenti, necessarie, «serie e impopolari» lo dicono gli industriali, che sul loro quotidiano, Il Sole 24 Ore di oggi, spiegano la necessità di mettere mano alle pensioni, delle quali «vanno eliminate quelle di anzianità». E poi, elenca ancora il giornale dei padroni: occorre «tagliare le tasse di imprese e - bonta loro - lavoratori» ed è necessario provvedere alle «privatizzazioni e liberalizzazioni riducendo il perimetro dello Stato nell’economia», oltre naturalmente ad interventi sul mercato del lavoro. E guarda un po’ certe volte le coincidenze, proprio oggi Confindustria ed i sindacati Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato in via definitiva l’accordo dello scorso 28 giugno, che in sostanza consente deroghe al contratto nazionale ogni qualvolta se ne ravvisassero «esigenze degli specifici contesti produttivi». Una firma che ha avuto l’apprezzamento di Sacconi ed anche di Bersani. Vendola invece, mostrando una coerenza di ferro, non si è espresso (almeno per ora) proprio come fece all’indomani dell’intesa del 28 giugno.
Insomma, tra apprezzamenti, silenzi o aperture ai diktat degli industriali (vedi Bersani che chiede a Marcegaglia di discutere di riforme con il PD), tentano di farsi strada riforme che incidono pesantemente sulle vite materiali e sui diritti delle persone comuni e sulle quali la crisi pesa come un macigno. Apprezzamento per riforme che finora in Grecia hanno avuto l’effetto di far aumentare del 40% il numero dei suicidi. Riforme con le quali si vorrebbe imporre l’impresa al centro di ogni riferimento politico.
Dopo il referendum di Pomigliano,
Mario Tronti così concludeva un articolo dal titolo "Il che fare diPomigliano" pubblicato su Il Manifesto del 25 giugno 2010: «Il
problema non è il Cavaliere, il problema è il Cavallo,
e cioè questo modo d'essere che occupa le nostre vite e che osa sempre di più
per avere un comando assoluto, modo d'essere di privilegi intoccabili, di
poteri arroganti, di ingiustizie palesi, di sistema di leggi eterne, oggettive,
dicono, nei cui confronti non c'è niente da fare se non piegarsi e obbedire.
Ascoltateli questi “no” di Pomigliano: segnano il “che fare” per un'operazione
forte di un grande partito a vocazione alternativa.»
Quei “no” pronunciati e rivendicati a Pomigliano sono rimasti inascoltati e così oggi la più forte opposizione politica a Berlusconi è affidata a gente come Marcegaglia, Draghi (lodato anche da Vendola), Montezemolo e compagnia cantando ed alla loro risposta neoliberista alla crisi, buona solo a garantire privilegi e rendite a lor signori. Standard & Poor’s, c’è da scommetterci, darà loro ragione.
Quei “no” pronunciati e rivendicati a Pomigliano sono rimasti inascoltati e così oggi la più forte opposizione politica a Berlusconi è affidata a gente come Marcegaglia, Draghi (lodato anche da Vendola), Montezemolo e compagnia cantando ed alla loro risposta neoliberista alla crisi, buona solo a garantire privilegi e rendite a lor signori. Standard & Poor’s, c’è da scommetterci, darà loro ragione.
Intanto
dal basso si va preparando la mobilitazione europea ed internazionale del 15
ottobre. Occorre essere in tanti, in massa per far arrivare forte e chiaro che pagamento del debito, pareggio del bilancio pubblico, le privatizzazioni, i tagli alla spesa, la
precarizzazione del lavoro e della vita non sono dogmi intoccabili, che alternative esistono e possono essere applicate se sapremo rivendicare la necessità di «democrazia reale ora!»
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