I padroni, la casta, l'Italia dei Valori


Giorgio Cremaschi, nel suo libro “Il regime dei padroni”, definisce “con la parola regime non la dittatura, ma il conformismo rispetto a un'ideologia che si fa potere” e con padroni si riferisce a “chi comanda sul serio, quelli che Ernesto Rossi chiamava i padroni del vapore.” E suggerisce per questi, Cremaschi,  anche l’uso del termine “casta”, un “termine oggi di moda, ma che, non casualmente, viene applicato a tutti tranne che ai padroni veri”, si legge nella prefazione.

Eliminare le pensioni di anzianità. Proposte di riforme dopo Standard & Poor's


La notizia che ogni giornale in questi giorni pubblica in prima pagina riguarda il declassamento del debito italiano, da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s da un “A+” ad una semplice “A”. In sostanza Standard & Poor’s sta dicendo che chi oggi mette soldi in Italia, rischia maggiormente di non riaverli indietro. Gli effetti della classificazione sono ovvi: se il debito è a maggior rischio di insolvenza, il tasso del credito applicato sarà più alto, con effetti a cascata sull’economia del Paese.
Berlusconi lamenta il fatto che la declassazione del debito italiano «sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche». Insomma, colpa dei media e per ragioni politiche. E’ facile immaginare, e lo confermano le dichiarazioni di economisti e politologi di ogni sorta, che la credibilità del governo abbia un peso nella declassificazione. È anche certo che gli effetti politici non si sono fatti attendere.

Ecco come NON SCEGLIAMO con il Mattarellum

Il comitato referendario "Firmo, voto, scelgo" invita a firmare per i quesiti referrendari che abolirebbero il cosiddetto Porcellum. Questo comitato, al quale hanno aderito anche Veltroni, Vendola e Di Pietro, promotori quindi del referendum, dice che bisogna firmare (riprendo testualmente dal loro sito) "per ridare al cittadino il diritto costituzionale di scegliere i propri rappresentanti attraverso i collegi uninominali".

Ora, l'ultima volta che si è votato alle elezioni politiche con sistema maggioritario uninominale, è stato il 2001. Si votò con la legge Mattarella (denominata Mattarellum) che Veltroni, Vendola e Di Pietro vogliono ripristinare.
Vi ricordate com'erano fatte le schede elettorali dei collegi uninominali, attraverso i quali, secondo il comitato referendario si restituirebbe "al cittadino il diritto costituzionale di scegliere i propri rappresentanti"?. Erano fatte così:

Ora anche l'Abruzzo ha la sua Pomigliano


«Avere un tavolo locale è una vittoria e Sevel si dimostra una specificità nella galassia Fiat». Si legge una certa euforia nelle parole di Nicola Manzi, segretario provinciale Uim-Uil, dopo l'accordo del 12 settembre tra sindacati (con esclusione di Fiom e Cobas) e la Sevel, il più grande stabilimento di veicoli commerciali leggeri d’Europa con oltre 5.000 lavoratori e dove viene prodotto il Fiat Ducato. «Un accordo storico» è la definizione che usa Domenico Bologna della Fim-Cisl. E questo è vero.

Di quell'accordo si sottolinea l'erogazione di un premio straordinario Sevel «fino a 900 euro in due tranche da erogare tra ottobre 2011 e febbraio 2012», come si legge nel comunicato stampa di Fim Cisl e l'assunzione di 250 interinali. Ed in questo caso si tratta di un ritornello, visto che in Sevel periodicamente si annunciano assunzioni con contratti interinali. Meglio di niente, ma non certo un contrasto alla disoccupazione ed alla precarietà, come afferma con entusiasmo Bruno Vitale, segretario nazionale Fim Cisl. Il quale addirittura si spinge a dire che quello firmato da Fim, Cisl, Fismic e Ugl sarebbe «un accordo importantissimo che valorizza una contrattazione innovativa volta ad aumentare i salari laddove si creano condizioni produttive positive». Siamo alla pura propaganda.

Quel premio, si legge nell'accordo, «sarà corrisposto in via straordinaria» e «una tantum». Dire quindi, come fa la Fim Cisl, che si aumentano i salari, è una balla colossale. Pura propaganda che non corrisponde a realtà, come verificheranno gli operai e le operaie Sevel leggendo le prossime buste paga.
E si omette di specificare che la possibilità di erogazione di quel premio straordinario rimane tutta in mano alla Sevel, visto che sarà erogato solo «nel caso di raggiungimento dell'obiettivo produttivo per l'anno 2011 di 224.000». Produrre un furgone di meno significa, per operai ed operaie, non vedere un centesimo di premio che, è bene specificare, è previsto di 900 euro solo per chi avrà lavorato nel 2011 almeno 1700 ore, dal cui computo «sono esclusi i permessi annui retribuiti, le ferie, la mezz'ora di mensa, le ore di inattività, le assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa, ogni altra assenza/mancata prestazione lavorativa retribuita o non retribuita a qualsiasi titolo». In pratica, un lavoratore che durante l'anno si è ammalato, o una donna incinta, o chi abbia usufruito dei permessi previsti dalla legge 104/1992 per assistere un familiare affetto da grave handicap, non riuscirà ad ottenere quei 900 euro lordi di premio. Forse otterrà qualcosa meno. Magari 150 euro lordi in due tranche ma solo se avrà lavorato almeno 1501 ore.

La logica rimane quella Fiat: aumento dei ritmi di lavoro (anche giustificati con l'Ergo Uas, entrato in Sevel con un accordo sindacale nel luglio scorso), maggiore produttività, più straordinari (pure previsti in quest'ultimo 'accordo). E solo al raggiungimento di un risultato deciso dall'azienda si eroga un premio. La filosofia è che il lavoro ed il suo costo sono variabili dipendenti degli obiettivi aziendali. Altro che «Sevel specificità nella galassia Fiat».
E che siamo di fronte ad una "normalità" della Fiat modello Marchionne, è la decisione di Sevel di uscire da Confindustria. Nell'accordo è scritto che «le parti convengono di incontrarsi nel mese di novembre 2011 per definire gli assetti contrattuali da applicare in SEVEL s.p.a. con decorrenza dal 1° gennaio 2012». In pratica Sevel il prossimo novembre comunicherà ai sindacati la sua decisione di uscire da Confindustria. Che è certa dal luglio scorso, quando la Sevel, come previsto dall'art. 8 dello Statuto di Confindustria, ha inviato all'associazione degli industriali una comunicazione scritta a mezzo raccomandata r.r., comunicando la volontà di uscire da Confindustria. A rivelare la notizia è Paolo Primavera, presidente di Confindustria Chieti, il quale all'AGI dichiara che «l'associata Sevel Spa ha comunicato il probabile, quasi certo, recesso dalla nostra associazione con decorrenza dal primo gennaio 2012».

Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2012, Sevel potrà considerare carta straccia il contratto collettivo nazionale ed applicare un contratto specifico come per Pomigliano. Tutto come da previsione: Sevel entra tutta nell'orbita Fiat, prima con la nuova metrica del lavoro Ergo Uas; poi con quest'ultimo accordo, in linea con il diktat di Marchionne, che lo scorso giugno, in una lettera alla presindete di Confindustria Marceglia dichiarava la volontà di Fiat di uscire dal «sistema confederale a partire dal primo gennaio 2012 nel caso in cui, entro l'anno 2011, non si fossero realizzati ulteriori passi a garanzia dell'esigibilità necessaria per gli accordi raggiunti a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco».

Tutto come era facilmente prevedibile. Compresa la "complicità" di Cisl, Uil, Fismic e Ugl.

L'inutile scelta tra Porcellum e Mattarellum



Cosa bisogna aspettarsi da una legge elettorale? La domanda dovrebbe avere risposta ovvia: considerando che, per dirla con il politologo Gianfranco Pasquino, un sistema elettorale è quel “complesso di regole e di combinazione di varie procedure che mirano a consentire l'efficace traduzione dei voti espressi in seggi e cariche”, ne deriverebbe che da una legge elettorale occorre attendersi innanzitutto la rappresentanza della volontà popolare. In sostanza, dalle elezioni in una democrazia rappresentativa, qual è (o dovrebbe essere) la nostra, dovrebbe scaturire un Parlamento che sia espressione degli interessi della società civile.
Invece ci dicono che una legge elettorale deve garantire innanzitutto la governabilità del Paese. Quasi che la governabilità potesse essere assunto a valore assoluto di una democrazia. Se così fosse dovremmo tessere gli elogi dei regimi dittatoriali, massima espressione di governi stabili e duraturi.

Ad ogni modo, sul presupposto della governabilità, con il referendum del 1993 si abrogò in Italia il sistema elettorale proporzionale e ed a seguito dell'approvazione delle leggi 4 agosto 1993 n. 276 e n. 277 si introdusse il cosiddetto Mattarellum, che assegnava il 75% dei seggi con sistema maggioritario uninominale. Il Mattarellum è rimasto in vigore fino al 2005, quando venne sostituito dalla Legge Calderoli, il cosiddetto Porcellum che prevedeva tra l'altro le liste bloccate ed il premio di maggioranza.
Una legge, quella Calderoli, certamente aberrante e che aveva in sè il germe, guarda caso, della governabilità assunto a valore della democrazia. A garantire la governabilità servirebbe infatti il premio di maggioranza che garantisce un minimo di 340 seggi alla Camera dei deputati alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti ed un premio di maggioranza su base regionale al Senato.
Una legge che è stata ben definita dal suo ideatore, Calderoli: una porcata. E' evidente quindi la necessità di modificare l'attuale sistema elettorale.

Questo è quello che si propongono di fare Veltroni, Vendola, Di Pietro, appoggiando la proposta referendaria promossa da Andrea Morrone e Arturo Parisi, con il comitato "Firmo, voto, scelgo". Specificano che bisogna firmare per i quesiti referendari da loro proposti perchè “il Paese ha più che mai bisogno di un Parlamento pienamente rappresentativo, capace di prendere decisioni impegnative ma condivise da tutti", mentre "affidando la nomina dei parlamentari a pochi capipartito, la legge elettorale che chiamiamo Porcellum li ha separati dai cittadini, facendoli apparire come una casta di privilegiati". Perciò, a detta del comitato referendario appoggiato da Veltroni, Vendola e Di Pietro, bisogna abrogare il Porcellum "per ridare al cittadino il diritto costituzionale di scegliere i propri rappresentanti attraverso i collegi uninominali ... per rafforzare e migliorare il sistema bipolare italiano e assicurare l’alternanza politica, consentendo ai cittadini di scegliere i parlamentari e chi deve governare il Paese.”

Si leggono chiaramente i propositi (o supposti tali) del comitato "Firmo, voto, scelgo": possibilità per l'elettore di scegliere il candidato; rappresentatività; governabilità. Purtroppo però, nessuno di quei propositi è perseguibile attraverso quei quesiti referendari che vorrebbero reintrodurre il Mattarellum.


SCELTA DEI CANDIDATI
La legge Mattarella prevedeva che il 75% dei seggi fosse assegnato con sistema maggioritario uninominale. In questo modo ogni coalizione (o partito, se questo si presentava da solo alle elezioni) presentava un suo candidato. Uno solo. L'elettore era costretto a scegliere uno dei candidati che si contendevano il collegio elettorale. O quelli (uno per coalizione o partito) o niente.
E' una facile previsione quella che vuole che i candidati saranno scelti dalle segreterie di partito. Era così quando il Mattarellum era il sistema elettorale vigente, perchè dovrebbe essere diverso in caso fosse reintrodotto? Difficile pensare che un sistema che prevede l'imposizione di un nome possa migliorare un altro sistema, come il Porcellum, che prevede l'imposizione di una lista.

RAPPRESENTATIVITA'
La stortura del Porcellum in questo caso è attribuibile al premio di maggioranza, che garantisce un minimo di 340 seggi alla Camera dei deputati alla coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti ed un premio di maggioranza su base regionale al Senato. In questo modo si assegna il 55% dei seggi alla lista con la maggioranza relativa dei voti. Quindi in Parlamento una lista che ha nel Paese il 35% dei consensi potrà avere la maggioranza assoluta in Parlamento
Il Mattarellum non prevede il premio di maggioranza, ma il criterio di assegnazione dei seggi con sitema maggioritario uninominale non garantisce un rapporto tra voti conquistati dalle liste e seggi ottenuti in Parlamento. Con questo sistema, infatti, in ogni seggio vince il candidato con la maggioranza relativa dei voti. Ma non è detto che in Parlamento sia rappresentata la volontà degli elettori, in quanto alla somma dei voti potrebbe non corrispondere in proporzione i seggi in parlamento. Prendiamo ad esempio l'ultima tornata elettorale svoltasi con il Mattarellum.
Alle elezioni politiche del 2001, vinse Berlusconi e la sua coalizione. Ma è da notare una forte sproporzione tra percentuali di voto, numero di voti e seggi ottenuti, nei colleggi uninominali. Alla Camera dei deputati, infatti,  la Casa delle libertà ottenne su base nazionale 16.915.513 voti, pari 45,57% delle preferenze e le furono assegnati 282 seggi. L'ulivo conquistò 16.019.388 di voti, corrispondenti al 43,15% delle preferenze, ma gli vennero assegnati solo183 seggi.
Sproporzione ancora più evidente al Senato, dove  la Casa delle libertà ottenne, con 15.027.030 voti (il 40,09%) 169 seggi; mentre a L'Ulivo furono assegnati 228 seggi pur avendo conquistato un minor numero di voti: 14.447.548, pari ali 38,54%.
Insomma, con il Mattarellum, nel 2001 alla Camera il centrodestra vinse di poco, ma ottiene molti seggi di differenza de Ll'Ulivo, che però ottenne al Senato la maggioranza dei seggi pur avendo conquistato meno voti.E questo sistema risponderebbe, secondo Veltroni, Vendola e Di Pietro, al "bisogno di un Parlamento pienamente rappresentativo".


GOVERNABILITA’
E' facile capire che in un sistema parlamentare perfetto com'è il nostro, dove le due camere svolgono la stesse funzioni, avere  (come avvenne nel 2001) maggioranze diverse alla Camera ed al Senato  non consente "di prendere decisioni impegnative ma condivise da tutti", come dicono di volore quelli del comitato "Firmo, voto, scelgo". La tanto ricercata governabilità andrebbe a farsi benedire.
D'altronde basta contare i governi che si sono succeduti nel periodo di vigore del Mattarellum: dal 1994 al 2006 ci sono stati 4 governi di centrosinistra; 3 governi di centrodestra; un governo tecnico guidato da Dini. In media, un nuovo governo ogni anno e mezzo, sostenuti da maggioranze formate anche da ben nove partiti, e comunque mai meno di cinque. E con questo, anche la supposta volontà del referendum promosso Veltroni, Vendola e Di Pietro, di mettere uno "stop alla eccessiva frammentazione" si presenta come una bufala da non sostenere con la propria firma.

Il referendum che piace a Veltroni, Vendola, Di Pietro... e pure a Napoleone III

Si dice che la storia insegna ed è vero. Il problema spesso è chi la impara e come usa l'insegnamento.
Sul referendum per l'abolizione del cosiddetto "Porcellum", ad esempio, la storia l'hanno imparata bene Parisi, Veltroni e parte del PD, Di Pietro e tutto l'IDV, Vendola e tutta SEL (che poi Vendola praticamente è SEL) ed altri. Hanno imparato dalla storia che si può far finta di rimediare alla disuguaglianza sociale attraverso una parvenza di uguaglianza politica.

Il diritto di voto basato sul censo non si può ristabilire e allora il rischio è che il suffragio universale che stabilisca una reale rappresentanza delle istanze popolari può anche mettere in crisi il sistema di potere delle classi dominanti. Diceva Marx: «Il suffragio universale, col tenere di nuovo sospesa permanentemente la potenza attuale dello Stato, facendone una propria creazione diretta, non viene esso a sospendere ogni stabilità, a porre ad ogni istante in questione tutti i poteri vigenti, ad annullare l'autorità, a minacciare che la stessa anarchia assurga ad autorità?». E quindi la borghesia, si domanda retoricamente Marx, non è forse costretta a «regolare il diritto di voto in modo che esso abbia a volere ciò ch'è ragionevole, ossia il dominio di essa?».

E infatti cosa propone il comitato referendario del "Firmo, voto, scelgo"? Di cancellare il Porcellum, che impone liste bloccate e scelte dai partiti e «di ripristinare quella sostituita.» Come? «Attraverso la reviviscenza delle norme precedenti, dopo l’esito positivo dei referendum per i collegi uninominali, si permetterà alle due Camere di essere elette attraverso le regole introdotte nel 1993 dal c.d. Mattarellum». Cos'è il Mattarellum? E' quella legge elettorale che prevedeva un sistema misto abbastanza complicato e che in sostanza assegnava il 75% dei seggi con sistema maggioritario uninominale ed il restante 25% con proporzionale.

Ora, nei collegi uninominali si presenta un solo candidato per coalizione o partito e viene eletto quello che ottiene la maggioranza relativa.  A parte il fatto, non secondario, che a vincere un'elezione potrebbe essere una coalizione che ha la minoranza dei voti nel Paese, rimane la questione principalmente propagandata dai referendari del comitato "Firmo, voto, scelgo" e cioè la scelta dei candidati che con il Porcellum è imposta dai partiti. Ma in un collegio uninominale come quello previsto dal Mattarellum, dove non c'è neanche una lista ma solo un nome per coalizione o partito, chi lo sceglie quel solo candidato per coalizione? Ovvio, sempre i capi di partito e gli elettori o votano quello o nessuno. Gira e rigira, con questo referendum sempre al punto di partenza si torna: scelgono i capi partito (o chi per loro), che mantengono anche senza Porcellum il proprio potere e la propria rendita di posizione ma ti fanno credere che hai scelto tu.

Marx aveva previsto Veltroni, Vendola e Di Pietro? No di certo: ma aveva ad esempio osservato Napoleone III, che non era certo un campione di democrazia e che, come scrive Luciano Canfora nel suo libro "La democrazia. Storia di un'ideologia" (di cui consiglio la lettura), «Il secondo imperatore dei Francesi ha insegnato all'Europa borghese a non aver paura del suffragio universale, bensì ad addomesticarlo: beninteso, purché corretto dell'infallibile meccanismo moderatore del collegio uninominale», con il quale Napoleone III vinse le elezioni presidenziali nel 1848 e grazie al quale potè impedire «la validità erga omnes della democrazia» con l'effetto di un «drastico ridimensionamento della rappresentanza dei ceti meno competitivi». Da notare la data: 1848, tanto per dire anche che il maggioritario uninominale oltre che non è essere effettivamente democratico, non è nemmeno un'innovazione elettorale.

La storia ci insegna (e noi dobbiamo imparare) che l'unico sistema elettorale realmente indirizzato verso la democrazia è quello proporzionale. Che è quel sistema, ricorda ad esempio ancora Luciano Canfora nel suo libro, con il quale dopo la Prima Guerra Mondiale «i socialisti triplicarono i loro eletti (156), i popolari balzarono a 100 seggi. [...] I liberali, onnipresenti e onnitrionfanti col vecchio sistema, crollarono da 300 a 200 seggi. Fu una vittoria dei movimenti democratici». Ma poi arrivò Mussolini alla presidenza del Consiglio, che approvò «la nuova legge elettorale ultra-maggioritaria (la famigerata legge Acerbo, preparata da una intensissima campagna fascista in favore di un sistema elettorale maggioritario, scattata già subito dopo la "marcia su Roma") e si avranno, così, le condizioni per il trionfo del listone fascista [...] Insomma il bilancio è - continua Canfora - che le forze socialiste, soprattutto grazie al sistema "proporzionale", ottengono il riconoscimento del loro imponente insediamento nella società, ma non sono maggioranza neanche nei momenti e nelle congiunture più "favorevoli", giacché non hanno dalla propria parte il potere dello Stato (e tanto meno quello delle grandi forze economiche). Le formazioni fasciste, anche se minoranza, sono messe in condizione, dall'appoggio dei poteri statali, di pilotare le elezioni e vincerle.»

Ecco, quel bilancio è anche un evidente ed imprescindibile insegnamento. Non sto parlando di un pericolo fascista che si rischierebbe di correre con l'approvazione del referendum promosso dal comitato "Firmo, voto, scelgo"; ma del rinnovamento del potere ancora in mano alle stesse persone o comunque alle stesse classi, per gestire quel pericolo che una reale democrazia può rappresentare per la classe dominante.
Un'osservazione plausibile sarebbe quella che allora che senso ha promuovere un referendum per abolire il Porcellum. La risposta è nella necessità di addomesticare la democrazia, perchè vuoi mettere quanto è più sicuro mantere un potere o una rendita di posizione se il popolo crede di avertelo concesso lui.

A questo punto un invito: non firmare il referendum del comitato "Firmo, voto, scelgo", il quale tra l'altro corre il grosso rischio di essere bocciato dalla Corte costituzionale per importanti limiti di costituzionalità e di sostenere il referendum proposto da Passigli con il comitato "Io firmo. Riprendiamoci il voto" che, seppure mantiene il discutibile sbarramento del 4%, abolirebbe il Porcellum e avrebbe un indirizzo proporzionale e perciò democratico.

Bene lo sciopero generale, ma la lotta deve ritrovare un punto di vista di classe.

Bene, lo sciopero generale del 6 settembre scorso contro la manovra economica è riuscito. L’adesione è stata alta e la presenza alle manifestazioni in tutta Italia è stata massiccia. Intanto in questi giorni nelle aule parlamentari prosegue l’iter della manovra, che per essere veloce come richiesto da Mario Draghi per bocca del presidente Napolitano, passerà attraversò l’ennesimo voto di fiducia del governo Berlusconi. Come se centinaia di migliaia di persone non fossero scese in piazza a protestare contro questa manovra da macelleria sociale.

Bene lo sciopero di ieri. Ma non basta. Primo perché ovviamente la lotta per la giustizia sociale non può concludersi con una forte protesta alla manovra economica (che per altro, come dicevo, verrà approvata con il consenso di molta parte delle forza sociali istituzionali); e questa insufficienza introduce la seconda questione: quella legata al lavoro.

Lo sciopero dovrebbe rappresentare la forma di lotta più forte a disposizione dei lavoratori. Si tratta di un diritto individuale, ma la sua efficacia è data solo da una pratica collettiva. Il punto è che la generalizzazione di questa forma di lotta è sempre meno scontata e non potrebbe essere altrimenti, vista la lunga e continua scelta di sacrificare i diritti dei lavoratori sull’altare di una millantata crescita economica. Che tradotto in volgare dal sindacal-politichese ha sempre significato più produttività, più precarietà, più sacrifici per i lavoratori, meno stato sociale.

La stessa Cgil che ha promosso, proclamato e fatto lo sciopero generale contro la manovra economica, ha accettato praticamente sempre in questi ultimi anni la concertazione basata sulla messa in discussione di diritti dei lavoratori. Addirittura schierandosi anche apertamente contro le lotte sindacali che la Fiom ha continuato a condurre quasi sola, mentre la confederazione ha spesso cercato di normalizzare i metalmeccanici. L’accordo dello scorso 28 giugno, che sancisce la possibilità di derogare al CCNL praticamente ogni volta che si vuole, non è che l’ultimo esempio in tal senso.

Quindi: bene lo sciopero di ieri; ma non basta. Perché una svolta reale può esserci solo da una ripresa della lotta che deve essere di classe, che il capitale continua a condurre in tal senso e che produce le sue crisi ed i suoi disastri. E la stessa manovra economica italiana (come anche, ad esempio, quella greca) è tutta dentro la strategia e la logica capitalistica, tanto che in essa è contenuta anche la deroga all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Ma affinchè sia possibile una lotta di classe, occorre avere ben chiara la distinzione tra capitale e lavoro ed il loro inevitabile conflitto. Una distinzione che è stata man mano sfumata da una concertazione sindacale di stampo produttivistico. Prima che venga del tutto offuscata quella irriducibile distinzione, sarà bene riprendere il conflitto sociale con un punto di vista di classe. Altrimenti scioperi e manifestazioni come quelli di ieri rischiano di rimanere semplici testimonianze popolari.
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