I FANTASMI DI RUBY SULL'ARTICOLO 18



Niente democrazia per abolire i diritti. Potrebbe essere questo lo slogan di quanto sta avvenendo intorno alla riforma del mercato del lavoro. Il governo Monti ha imposto la fiducia sul disegno di legge Fornero che riscrive molte regole fondamentali del mercato del lavoro e dei diritti dei lavoratori, spostando brutalmente i rapporti di forza a favore dell’impresa. La precisazione dovuta è che il governo Monti si avvale della gentile collaborazione del PD, del PDL e dell’UDC. Per dirla meglio, si tratta di una servile collaborazione. Un esempio? I requisiti per la conversione del rapporto di collaborazione con partita iva, in contratto di lavoro dipendente.

Le regole pensate dalla ministra Fornero sono sembrate troppo rigide a Tiziano Treu (PD) e Maurizio Castro (PDL). Secondo la Fornero, se un lavoratore ha ad esempio una postazione fissa in azienda, ha un contratto che dura più di sei mesi, riceve da una certa impresa più del 75% del proprio reddito, siamo di fronte ad una falsa partita iva che deve essere assimilata al rapporto di lavoro dipendente. Ragionevole? Non per Treu e Castro, secondo i quali queste condizioni sono troppo vincolanti. Ed arriva l’emendamento: non vengono assimilate a contratti di lavoro le collaborazioni con compensi inferiori a 18.000 euro. Come dire: più sei sfruttato, meno sei garantito. Per inciso, questo emendamento PD-PDL, peggiorativo della riforma Fornero, è passato. Tanto per spiegare che il contenuto di questa vera e propria controriforma del lavoro, non è solo frutto del cinismo dei tecnici, ma anche del calcolo politico del trio PD, PDL, UDC, così sensibili ai richiami degli industriali.
Si poteva pensare, in uno scenario simile, di sentire anche soltanto timide voci che richiamassero al rispetto della democrazia parlamentare, specie per approvare un disegno di legge che modifica profondamente i rapporti di lavoro? Certo che no. E perciò era scontata la manifestazione di servilismo nel confronti del governo dei tecnici: ddl blindato, voto di fiducia accettato e controriforma approvata con i voti di PD, PDL e UDC.

La precarietà che non consente ai giovani di progettare il proprio futuro? Tutto come prima: rimangono oltre 40 possibili rapporti di lavoro; i contratti a tempo determinato? Continueranno ad essere la normalità in Italia ed anzi viene cancellato l’obbligo di motivare il termine del contratto, così, tanto per dare maggior libertà di utilizzo all’impresa; l’articolo 18? Praticamente cancellato, con la stessa naturalezza con cui si potrebbe cancellare un codicillo inutile, ed invece è un diritto fondamentale conquistato con dure lotte delle lavoratrici e dei lavoratori.
Dice il governo che sono provvedimenti necessari alla crescita. Dice che altrimenti le imprese non investono ed anzi scappano. Dice la Fornero che questa controriforma è necessaria per «favorire l'occupazione di giovani e donne, ridurre stabilmente il tasso di disoccupazione strutturale e creare più produttivo il lavoro». Tutto falso: molti dati ufficili mostrano il contrario, ma PD, PDL e UDC dicono di crederci e votano la fiducia. E noi che ci meravigliavamo del voto alla Camera sul caso “Ruby nipote di Mubarak”...

Governo: necessario ed urgente derogare la sicurezza per le piccole imprese


In Italia si muore con più frequenza e più probabilità sul lavoro che in guerra. Se sei un muratore attrezzato di cazzuola in un cantiere edile, rischi la vita più di un soldato armato di fucile al fronte. Soprattutto se l’azienda per cui lavori è una piccola impresa.
I dati disponibili fotografano chiaramente questa condizione di rischio dei lavoratori italiani e lo stesso rapporto Inail 2010 (ultimo disponibile) specifica che nelle piccole aziende sono i luoghi di lavoro “dove più elevato è il rischio infortunistico”. Ma proprio per queste realtà è stata, ancora una volta, prorogato il termine per la redazione del documento di valutazione dei rischi, obbligatorio in ogni azienda.

Nello specifico, il Testo Unico su salute e sicurezza sul lavoro, prevede, per le aziende fino a 10 dipendenti, di effettuare la valutazione dei rischi “sulla base di procedure standardizzate” che la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro avrebbe dovuto elaborare “entro e non oltre il 31 dicembre 2010”. Obbligo abbondantemente disatteso. In mancanza di tali procedure, le imprese che occupano fino a 10 dipendenti avrebbe potuto “autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi”, ma solo fino al prossimo 30 giugno. Scaduti questi termini, ed in assenza delle procedure standardizzate, anche le piccole imprese avrebbero dovuto adempiere all’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi ai quali sono esposti i lavoratori, secondo procedure ordinarie.
E invece interviene il governo, che con il decreto legge n. 57 del 12 maggio 2012, rinvia, ancora, questo obbligo per le imprese fondamentale ai fini della tutela della salute e dell’incolumità dei lavoratori. Il presidente Monti ed i ministri Passera, Fornero e Severino hanno ritenuto di “straordinaria  necessità  ed  urgenza” la possibilità di evitare “che  i  datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori […] siano obbligati, a  decorrere  dal  1°  luglio  2012,  ad elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie”. Consideriamo qualche dato e vediamo quant’è giustificata la necessità e l’urgenza di rinviare l’obbligo, a carico dell’impresa, di elaborazione di una valutazione rischi.

La “Indagine integrata per l’approfondimento dei casi di infortunio mortale sul lavoro anni 2002-2005” elaborata congiuntamente da Ispesl, Inail e Regioni è emerso che “più dell’85% degli infortuni mortali e del 70% di quelli gravi sono infatti avvenuti in aziende fino a 9 addetti”. Questi dati sono stati praticamente confermati in un rapporto presentato nel 2010 in un convegno promosso dalla Camera di commercio di Milano. In quell’occasione si è messo in evidenza che, per ogni mille lavoratori, avvengono 30 infortuni nelle grandi aziende e più del doppio nelle imprese che occupano fino a 15 lavoratori.
È evidente, in queste condizioni, che la necessità non è quella di rinviare ulteriormente un fondamentale obbligo aziendale: quello di elaborare una valutazione, al fine di prevenire, eliminare o ridurre al massimo, i rischi ai quali i lavoratori sono esposti. L’alta incidenza infortunistica nelle piccole imprese impone la necessità e l’urgenza di tutelare i lavoratori da malattie professionali ed infortuni sul lavoro, che deve essere perseguita imponendo il rispetto delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Concedere deroghe a tali obblighi, significa invece considerare la tutela dell’integrità fisica dei lavoratori variabile dipendente dal basso costo del lavoro, perseguiti, troppo spesso e ancora una volta, attraverso deroghe o inadempimenti agli obblighi in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Giorno 1 del mese di maggio: un giorno qualsiasi per morire sul lavoro



Il Primo Maggio è festa di ricordo delle lotte dei lavoratori per la conquista dei diritti. È un giorno per rivendicare con più forza i diritti di oggi. Ma se sei solo, i diritti devi averli per rivendicarli. Ché il padrone è più forte di te; ché lui ha i soldi che ti servono per pagare l’affitto e per mangiare; ché lui ha i mezzi che ti servono per lavorare e perciò è lui, il padrone, che decide se comprare le tue braccia e quando usarle. E se sei solo e se hai bisogno di lavorare, lui, il padrone, può pure decidere di comprare le tue braccia e di farle lavorare il giorno 1 del mese di maggio, che per lui, per il padrone, non è Primo Maggio.

E perciò il giorno 1 del mese di maggio per tanti lavoratori è spesso un giorno come un altro. Di quelli che bisogna alzarsi presto la mattina, vestirsi ed uscire per recarsi al lavoro. E non sono nemmeno in pochi quelli costretti al lavoro nel giorno di festa dei lavoratori. E va bene che c’è da garantire dei servizi essenziali: la pubblica sicurezza, l’energia, la salute. Ma che c’entra con queste cose il centro commerciale aperto, i ristoranti aperti ed pure i cantieri aperti? Cosa c’è da garantire, a parte i profitti di quei padroni che hanno comprato braccia da far lavorare pure il giorno 1 del mese di maggio? Niente.

Così, siccome per il padrone non è Primo Maggio, ma solo un giorno come un altro di un mese qualsiasi, capita pure che c’è chi al lavoro ci va e a casa non ci torna, perché precipita dai più classici 10 metri di un impalcatura qualunque montata in un anonimo paesino della provincia de L’Aquila. Una “normale morte bianca”; la classica morte bastarda alla quale non si danno colpevoli, di un lavoratore che sarà solo un morto in più da aggiungere in fredda statistica, di quelle che ci si può pure rallegrare pubblicamente se a fine anno registra un numero di morti un po’ piccolo rispetto all’anno precedente.

E invece era Primo Maggio, giorno di festa dedicato ai diritti dei lavoratori, quando Vasile Copil, operaio romeno di 51 anni è morto nel cantiere nel quale stava lavorando, ammazzato da un lavoro con sempre meno diritti, sempre più precario, sempre più merce da usare anche il giorno 1 del mese di maggio.
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