GOLDEN LADY: FURBATE DA TRE SOLDI E FUGA

Si apprende dagli organi di informazione che la New Trade, una delle due società alle quali era stata affidata la riconversione della Golde Lady di Gissi, è finita sotto inchiesta. I proprietari dell’azienda, i fratelli Nicola e Franco Cozzolino sono attualmente indagati dalla Dda di Firenze, perché sarebbero coinvolti in giro di traffico illecito di rifiuti plastici e abiti usati.

L’inchiesta che coinvolge la New Trade a Firenze, colpisce la società dei Cozzolino dopo i fatti accaduti a Gissi che forse è utile ricordare: il sequestro di materiali per inadempienze sempre in materia di rifiuti, le fidejussioni mancanti, la chiusura arbitraria dello stabilimento, il non pagamento delle maestranze, i licenziamenti arbitrati, il mancato rispetto degli accordi di riconversione firmati in sede ministeriale. Un curriculum che non dà alcuna garanzia di affidabilità. E tutto è successo in pochi mesi!

Colpisce come nella riconversione della Golden Lady di Gissi, nella quale è coinvolta anche la Silda che si sta dimostrando inaffidabile in termini di liquidità e perciò di garanzie produttive, l’inaffidabilità delle società coinvolte non sia assolutamente emersa (se non per un attimo e solo per Silda). New Trade e Silda sono state evidentemente segnalate dalla società Wollo, incaricata da Golden Lady per la riconversione dello stabilimento di Gissi. Oggi, ciò che non può continuare a passare sotto traccia, è la responsabilità di una riconversione che non poteva non fallire, viste le premesse.
È chiaro che chi doveva facilitare la riconversione ha fallito clamorosamente nel suo compito; chi aveva il dovere di fare verifiche sull’affidabilità di Silda e New Trade non ha fatto il suo dovere come la situazione imponeva; chi doveva vigilare sul rispetto degli accordi non ha finora mosso un dito. Sarebbe il caso che tutte queste responsabilità (del ministero, della Wollo, della Golden Lady, della Regione, della Silda e della New Trade) venissero accertate una volta per tutte, anche per ripagare i lavoratori del danno subito. E a tal proposito c’è da chiedersi, in merito ai 2,5 milioni di euro che la Silda avrebbe ricevuto da Golden Lady: in che modo è stata eseguita la transazione, come sono stati utilizzati quei soldi ed in che voce di bilancio sono rintracciabili?

Soprattutto, però, è necessario che la riconversione della Golden Lady trovi nuove strade, considerando chiusa la inaudita e drammatica esperienza New Trade-Silda, coinvolgendo la Golden Lady, che rimane tra l’altro la principale responsabile del dramma che stanno attraversando quasi 400 persone in Val Sinello. Perché non dobbiamo dimenticare che Golden Lady non era un’azienda in crisi, ma solo un’azienda assetata di profitti che ha preferito la Serbia a Gissi, perché lì lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori è più facile.


Marco Fars, segretario regionale PRC Abruzzo
Carmine Tomeo, responsabile Lavoro PRC Abruzzo

Golden Lady: il fallimento di una riconversione pagata con i soldi dei lavoratori




 «Io e mia moglie speravamo almeno nel suo stipendio. E invece…». Così esprime la disillusione per una riconversione fallita dello stabilimento Golden Lady di Gissi (Ch), il marito di una delle lavoratrici in presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica, dove fino a maggio 2012 si producevano le calze Golden Lady. Quel marito è anch’egli in cassa integrazione da molti mesi, e cosa ne sarà della sua azienda, la Sider Vasto, anch’essa fino a pochi giorni fa presidiata dai lavoratori, non lo sa.

Il 25 novembre 2011 la Golden Lady chiude i battenti. I macchinari, usciti senza troppo rumore dallo stabilimento di Gissi, sono stati trasferiti in Serbia. Lì la mano d’opera costa molto meno e lo sfruttamento può essere portato a livelli più alti, senza troppe noie per il patron Golden Lady, Nerino Grassi. La disperazione delle lavoratrici e dei lavoratori è stata per un periodo attenuata, quando a maggio dello scorso anno ci fu la tanto attesa riconversione. Alla Golden Lady, nello stabilimento di Gissi, sono subentrate la Silda Invest S.p.A. e la New Trade S.r.l. La società di Nerino Grassi favorì questa grottesca e finta riconversione, pagando alla Silda 10.800 € per ogni lavoratore assunto (in realtà era l’incentivo all’uscita volontaria che Golden Lady offrì a dipendenti), ed affidando gratuitamente il capannone alla New Trade, per sette anni. Golden Lady ha così sottratto il suo marchio all’infamia di aver lasciato a casa quasi 400 persone. Ma è chiaro che dell’attuale disperata situazione nella quale si trovano i suoi ex dipendenti, la Golden Lady ha la sua parte di responsabilità.

E la situazione attuale è peggiore di quella di un anno e mezzo fa, quando la Golden Lady chiuse definitivamente la fabbrica di Gissi. Allora, nella situazione pure drammatica, c’era il sostegno della cassa integrazione, poi la prospettiva della mobilità, ed anche l’incentivo all’uscita volontaria di 10.800 euro: una miseria guardando al futuro, ma comunque un piccolo polmone per tirare avanti qualche tempo. Oggi, davanti alle lavoratrici ed ai lavoratori Golden Lady (senza ‘ex’, come dicono molte lavoratrici, perché senza riconversione la Golden Lady non può sottrarsi dalle sue responsabilità), si para un futuro nero: lunedì 15 luglio sono stati costretti ad iscriversi alle liste di mobilità, per non perdere anche quest’unico ammortizzatore sociale rimasto nelle loro possibilità.

Ecco quello che rimane di una riconversione mai davvero esistita, ma della quale in troppi si sono riempiti la bocca. Nessuno dimentica, ad esempio, che il PDL affisse manifesti in tutto il territorio, arrogandosi i meriti di posti di lavoro che allora, ai più, sembravano salvi. Si era in odore di campagna elettorale; chissà cosa si inventeranno per le elezioni regionali abruzzesi che si terranno tra qualche mese. Di quella fantomatica riconversione rimane solo la disillusione di quasi 400 lavoratrici e lavoratori, dopo mesi di duro lavoro che, dal racconto di chi era stato momentaneamente ricollocato, era al limite dello sfruttamento. Mesi in fabbrica a ritmi altissimi, spesso senza protezioni e senza stipendio.

In questi mesi, la New Trade ha subito anche il sequestro dei materiali da parte della Guardia Forestale. Non solo: è anche capitato che i dipendenti, pure senza stipendio da mesi, andando al lavoro, si sono anche ritrovati i cancelli chiusi. Intanto la Silda mostrava sempre più la propria fragilità. Raccontano infatti i lavoratori in presidio, che la Silda non solo non ha pagato alcuni stipendi, ma è debitrice anche nei confronti dei fornitori ed oggi ha addirittura alcune utenze staccate dal gestore.

È ovvio chiedersi quali verifiche abbia svolto il ministero dello Sviluppo Economico, quando affidò la riconversione a queste due società. Possibile che non si siano accorti della loro inaffidabilità, ormai palese agli occhi di chiunque? Perché nessuno ha monitorato il rispetto degli accordi di riconversione? E ancora, i soldi che la Silda ha ricevuto da Golden Lady, i 10.800 € che ogni dipendente Golden Lady sacrificò per di fatto comprarsi il nuovo posto di lavoro, che fine hanno fatto? Si tratta di circa 2,5 milioni di euro che nessuno sa dire a quale titolo siano stati offerti alla Silda, in che voce di bilancio sono finiti e come sono stati impiegati.

Risposte che devono essere date a quasi 400 lavoratrici e lavoratori (ex?) Golden Lady, finora presi in giro. Intanto loro, a turno, presidiano lo stabilimento, affinché dalla fabbrica non escano materiali, e soprattutto macchinari. Ora le sorti di chi era stato ricollocato in Silda e di coloro che erano stati reimpiegati in New Trade devono riunirsi. I padroni, dicono alcuni lavoratori, erano riusciti a creare tensioni e divisioni. Ma ora c’è di nuovo tutta l’evidenza di essere sulla stessa barca: se questa affonda, affondano tutti. Perciò occorre remare tutti nella stessa direzione. Insomma, fa notare molto giustamente una lavoratrice, o si lotta uniti tutti insieme o tutti insieme inevitabilmente si perde.

Ma ora la Fiom deve allargare la lotta per la democrazia sindacale





La sentenza della Corta Costituzionale, che sancisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori riapre prepotentemente la questione della rappresentanza sindacale. La Consulta afferma che è illegittimo negare la rappresentanza sindacale aziendale ad “associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”. Ad essere considerati incostituzionali, sono in sostanza il modello Pomigliano e Mirafiori, poi esteso in tutto il gruppo Fiat, che aveva estromesso dalla rappresentanza sindacale la Fiom ed i sindacati di base non firmatari del contratto separato Fiat. In pratica, incostituzionale è quel fascismo di fabbrica imposto da Marchionne e sostenuto da Cisl e Uil (oltre che dal sindacato padronale, Fismic).

Così, la Fiom potrà tornare nelle fabbriche Fiat. Così, anche nelle aziende del gruppo Fiat i lavoratori potranno scegliere liberamente da quale sindacato farsi rappresentare. Perché il giudizio della Consulta sostiene e rafforza il principio costituzionale della rappresentanza unitaria in proporzione agli iscritti, senza altri vincoli. Detta in altri termini, il principio costituzionale dell’agibilità sindacale è garantito anche qualora un sindacato non firmi un contratto collettivo. La libera azione sindacale è un diritto che non può essere subordinato all’accettazione di un accordo. Nei fatti, è la sanzione della contemporanea esigibilità del diritto alla rappresentanza sindacale ed al dissenso, e quindi al conflitto, che non possono essere considerati l’uno alternativo all’altro. E l’importanza di tenere unita la rappresentanza sindacale con il diritto al conflitto, si è mostrato in tutta evidenza con l’assenza formale di Fiom e dei sindacati di base dagli stabilimenti Fiat.

La partita, però, non è per niente terminata: rimane il nodo dell’accordo del 31 maggio 2013 firmato da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Un’intesa che richiama nella sostanza gli stessi criteri di rappresentanza dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, che la Consulta ha definito incostituzionali. Nell’euforia della sentenza della Corte Costituzionale, non si può sottacere il fatto che l’accordo del 31 maggio, non solo ammette alla contrattazione collettiva nazionale esclusivamente le Organizzazioni Sindacali firmatarie dello stesso accordo e prevede sanzioni per chi si oppone all’applicazione dei contratti; di più, nelle previsioni dell’intesa, nella elezione della Rsu varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per i sindacati firmatari dell’accordo. Insomma, se la sentenza della Consulta riporta la Costituzione nelle fabbriche, come giustamente afferma Landini, il vigente accordo del 31 maggio la Costituzione la risbatte violentemente fuori.

Quell’accordo è stato sostanzialmente accettato dalla Fiom, probabilmente nell’ansia di dover rientrare nelle fabbriche dalle quali era stata estromessa (anche se occorre dire che nell’ambito Fiat quell’accordo non aveva valore, essendo Fiat fuori da Confindustria). Ora la Fiom, che ha condotto questa importante e vittoriosa battaglia legale contro la Fiat, per affermare il sacrosanto diritto all’agibilità sindacale, ha la responsabilità di lottare perché tale diritto non sia umiliato da un accordo pattizio tra padroni e sindacati. Una responsabilità che ovviamente ricade anche sulle forze politiche che oggi esultano alla lettura della sentenza della Corte Costituzionale, in specie a quelle che davvero hanno sostenuto il diritto di libertà sindacale anche per la Fiom.

Non è un caso che, all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale, Fiat fa sapere di rimettere “piena fiducia nel legislatore affinché definisca un criterio di rappresentatività”, capace di dare “certezza di applicazione degli accordi”. Esattamente ciò che, anche per ammissione di Confindustria, si prefigge di fare l’accordo del 31 maggio, la cui parte sulla rappresentanza sindacale è solo funzionale alla esigibilità dei contratti. Non è un caso nemmeno il fatto che, contemporaneamente, il presidente dell'Autorità di garanzia per gli scioperi, Roberto Alesse  affermi la necessità, a suo parere, che i contenuti dell’accordo del 31 maggio “vengano, in qualche modo, blindati per il tramite di un intervento del legislatore da concertare con le Confederazioni firmatarie”.

Insomma, la sentenza della Consulta, mentre riafferma il diritto alla libera azione sindacale, riaccende di fatto l’antagonismo padroni-lavoratori in merito ad una vera democrazia nei luoghi di lavoro. Deve riaprirsi, perciò, il fronte di lotta (in realtà mai chiuso) per una piena e generale agibilità sindacale. Ma questa volta dovrà necessariamente essere ben più ampio di quello finora condotto quasi esclusivamente dal sindacato di base. Se così non sarà, a vincere saranno i padroni, sarà Marchionne; a perdere saremo tutti, Fiom compresa.
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