Se sei "quella che alza la testa" rischi di non trovare un altro lavoro

Pubblicato sul n. 42 di "Lotte" inserto del quotidiano Liberazione del 16-06-2011 con il titolo "E dopo il licenziamento la paura di non trovare un altro posto di lavoro"


La vertenza sulla chiusura della Golden Lady di Gissi (CH) si sta spostando dall’ambito locale a quello nazionale, dopo la presentazione della richiesta di “area di crisi” per la Valsinello, da parte della Regione Abruzzo al ministero dello Sviluppo Economico.
I rischi di delocalizzazione del sito produttivo di Gissi, le lavoratrici ed i lavoratori dello stabilimento lo cominciarono a sospettare quando tir carichi di merce “made in Serbia” ritornavano dalla Francia e dall’Inghilterra, dove era stata venduta. I prodotti realizzati non erano conformi agli standard minimi richiesti e così nello stabilimento di Gissi si doveva rimediare a quei disastri.
Ma evidentemente l'azienda fa due conti: considera la probabilità di errore e la gravità che ci si può attendere in base a vari parametri aziendali e considera i costi di quegli errori. Valuta così che le perdite dovute alle difettosità sono ricompensate e superate dalla riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto e trova perciò comunque vantaggioso trasferire le produzioni. Filodoro, Omsa, Golden Lady: uno ad uno gli stabilimenti italiani chiudono e le produzioni si trasferiscono dove più conviene per realizzare profitti. Il sacrificio sull’altare della competitività basato sul costo del lavoro si paga a Faenza, si paga a Gissi con licenziamenti di molte centinaia di lavoratrici e lavoratori.

Intanto la lotta per mantenere il posto di lavoro si carica del peso della paura di non trovarne un altro. Se sei riconoscibile come “quella che alza la testa” rischi di non trovare impiego. E così alla Golden Lady di Gissi, ad esempio, su quasi 400 lavoratrici e lavoratori ad essere attivi sono poco più di una ventina. Perché c’è «paura. Paura di non trovare altro. Paura di ritorsioni. Siamo anche a questo punto: sotto ricatto» confessa una lavoratrice.
C’è la speranza che ogni iniziativa in più aiuti a far crescere il numero degli attivi in difesa del posto di lavoro e ad abbattere il muro dell’informazione per raccontare il dramma di molte centinaia di lavoratrici e lavoratori del gruppo Golden Lady. È anche per questo che su iniziativa congiunta delle sigle sindacali e dopo il coordinamento nazionale del gruppo, sono stati programmati sit in con volantinaggio informativo nelle città di Faenza, Ravenna, Mantova, Roma, Milano, Firenze, Teramo e Chieti nella giornata del 9 luglio prossimo. Di iniziative ce ne saranno sicuramente altre. Perché, dicono le lavoratrici ed i lavoratori più attivi, spronando tutti gli altri, «si deve lottare. Fino in fondo».

Il governo fa le pentole e i sidacati fanno i coperchi


Quel diavolo di un governo ha fatto le pentole e Confindustria e sindacati confederali ci hanno messo i coperchi. Tremonti presenta una finanziaria da macelleria sociale, con la sua pesantezza pari a quasi 50 miliardi di euro, fatta di aumento dell’età pensionabile, blocco del turn over nel pubblico impiego e congelamento dei contratti nello stesso settore, interventi di aumento dei ticket sanitari e tagli alla spesa sociale; poco dopo Confindustria firma un accordo, con i sindacati “complici” Cisl e Uil ed una Cgil in versione “normalizzata”, che di fatto ha l’intenzione di stroncare sul nascere le prevedibili rivendicazioni e lotte di lavoratrici e lavoratori, studenti, precari, disoccupati, pensionati che subiranno nei prossimi mesi la ferocia della manovra finanziaria e le “ristrutturazioni” e le esigenze di profitto aziendali.
L’intenzione, nemmeno tanto nascosta, è quella di esportare il modello Fiat oltre i cancelli di Pomigliano D’Arco e Mirafiori e di farlo entrare forzosamente dentro qualunque luogo di lavoro nel territorio nazionale. Era stata la stessa presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ad affermare giorni fa la necessità dell’esigibilità dei contratti ed a fare riferimento esplicitamente al caso Fiat, con queste inequivocabili parole: «Quello che noi cercheremo di fare per la Fiat e le altre imprese è lavorare sul tema dell'esigibilita' dei contratti. E se faremo un buon lavoro, questo e' anche una risposta alle esigenze corrette che la Fiat manifesta».
L’accordo firmato, infatti, rimasto praticamente segreto fino al momento della firma, prevede la contrattazione nazionale quale strumento di affermazione di principi generici. La partita reale si giocherà nella contrattazione aziendale, che può prevedere accordi in deroga al contratto nazionale ogni qualvolta se ne ravvisassero “esigenze degli specifici contesti produttivi”. E per rendere validi gli accordi stipulati in sede di contrattazione aziendale è sufficiente l’approvazione del 50% più uno delle RSU, mentre l’esigilità del contratto aziendale è garantita da clausole di “tregua sindacale”.
Di fronte a queste cose, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil ha avuto da dire solo che con questo accordo è stata «superata una stagione di divisione» e che dopo una serie di accordi separati «il senso di questo accordo è aprire una stagione nuova». Certo, l’unità sindacale è una cosa importante. Ma non può costituire un valore in sé, nemmeno può essere un obiettivo da raggiungere a qualsiasi prezzo: in questo caso la riduzione degli spazi di democrazia sindacale e la limitazione dei diritti dei lavoratori sulla scorta delle esigenze aziendali.
L’unità sindacale ha bisogno di essere costruita direttamente ed a partire dai luoghi di lavoro, dove gli operai da troppo tempo sono lasciati soli. Ma che praticamente senza rappresentanza sindacale né politica, stavano riuscendo nell’impresa di ridare valore alle parole lavoro e dignità, con le lotte di Pomigliano e di Mirafiori e con i loro “no” agli accordi imposti da Marchionne. C’è, in quelle lotte, la volontà di restare uomini e donne in carne ed ossa pure dentro la fabbrica. Una volontà ed una speranza di poter resistere ben raccolta dalla Fiom in questi mesi, ma che ha continuato ad essere considerata anche in Cgil una anomalia da ricondurre nell’alveo di quella sorta di corporativismo che quest’ultimo accordo rappresenta.

Golden Lady: il grido d'aiuto di 382 famiglie

Pubblicato sul n. 41 di "Lotte" inserto del quotidiano Liberazione del 16-06-2011


Il grido di aiuto delle lavoratrici Golden Lady. Ma la Regione Abruzzo non sente. Parliamo del futuro di 382 lavoratrici e lavoratori. Bisogna essere precisi, perché precisamente per ognuno di loro, per ognuna delle loro famiglie, per ognuno dei loro figli, quello che sta avvenendo da molti mesi alla Golden Lady di Gissi (Ch) è un dramma. Il dramma della chiusura dopo due anni di cassa integrazione ordinaria, un altro anno in straordinaria ed ora in deroga. Fino al 21 novembre prossimo, giorno della definitiva chiusura dello stabilimento. Giorno in cui Golden Lady smetterà definitivamente la sua produzione in Val Sinello per continuare in Serbia.

Chi in questi anni ha lavorato in Golden Lady ricorda le accuse di assenteismo che venivano rivolte loro dall'azienda, che significa dire, nella Fiat di Marchionne o nella Golden Lady a Gissi, scarsa produttività, poca redditività. E come spesso accade, quelle accuse sono le premesse delle intenzioni di delocalizzare la produzione dove lavoratrici e lavoratori vengono pagati meno ed hanno meno diritti. A quelle accuse le lavoratrici ed i lavoratori non rispondevano seppure risultavano essere chiaramente ingiustificate. Accuse mai «contestate per paura di ritorsioni, dovevamo stare zitte e non rispondere a tutti gli articoli di giornale che ci infamavano», racconta Graziella Marino, tra le più combattive dello stabilimento e creatrice del gruppo facebook "Dipendenti Golden Lady ancora per poco", dove raccoglie e aggrega informazioni e anima la lotta per il «lavoro che sta a dire dignità». «Se un tempo il lavoro femminile era una scelta - continua Graziella - lavorare al giorno d'oggi è una reale necessità per campare. Lo stipendio pieno è di circa 1000 euro, la cassa integrazione è circa il suo 70%» E ci sono casi in cui dello stabilimento Golden Lady siano dipendenti moglie e marito, con figli e mutuo da pagare. «La nostra voce è un grido di aiuto».

Una voce che anche giovedì 9 giugno le lavoratrici ed i lavoratori Golden Lady hanno cercato di far sentire agli amministratori regionali, nel corso dell'incontro che si è tenuto nelle stanze della Regione Abruzzo, per tentare una soluzione alla chiusura dello stabilimento. Ma a discutere con i sindacati ed i vertici aziendali non c'erano né il presidente della regione Gianni Chiodi, né l'assessore al Lavoro Paolo Gatti. Una conferma dell'immobilismo degli amministratori regionali nelle politiche del lavoro, anche in situazioni di emergenza.
Un vertice dal quale non è emerso niente di significativo. Dopo le proposte di qualche mese fa di trasformare lo stabilimento in un centro commerciale e quella di convertire la produzione al settore fotovoltaico, entrambe cadute nel vuoto, giovedì l'incontro tra azienda, amministratori regionali e sindacati si è risolto con la dichiarazione categorica di Golden Lady: chiusura a novembre. Unica concessione l'affidamento della gestione della chiusura ad una agenzia specializzata in riconversione e ricollocamento di siti produttivi dismessi. Da parte della Regione Abruzzo la volontà di riconoscere (finalmente) la Val Sinello area di crisi.
Davvero troppo poco per 382 lavoratrici e lavoratori tormentati da un pensiero costante: come fare per andare avanti.

Carmine Tomeo

Nucleare: dubbi sul referendum? Ecco perche' sono immotivati.

In rete ci sono articoli che pongono dubbi sul votare SI al referendum sul nucleare. In effetti, per come è formulato il quesito, considerando il contenuto delle norme da abrogare, dei dubbi possono in prima battuta sorgere. Qualcuno di questi viene da giuristi autorevoli, la stragrande maggioranza vengono descritti in copia/incolla su vari blog. I primi sono ovviamente articolati e vanno oltre il quesito in senso stretto, allargando la questione a decisioni di ordine costituzionale, di rapporti da organi dello Stato (come fa in maniera ottima Sergio Romano su Repubblica, ad esempio); gli altri in genere si fermano alla lettura del testo dei commi di legge da abrogare con il referendum.

Leggo ad esempio sul blog del giornalista e sociologo Giuseppe Gallo, il dubbio che "uno va alle urne pensando di votare a favore o contro il nucleare, e invece vota un’altra cosa", e questo perché votando SI al nuovo quesito, si abrogano i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del dl 31/03/2011 n. 34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75 e si riporta il testo incriminato per dimostrare la legittimità del dubbio.

L’articolo 5 comma 1, così recita: “Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, […] non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare.”  Non si procede. Abrogare una negazione, significa un consenso, è vero. Ci torno dopo.

Il comma 8 dello stesso articolo 5, dice: “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri […] adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali […].”. Quindi, è la considerazione che viene fatta, votando SI e abrogando anche questo comma, si sta bocciando la possibilità di una strategia energetica, che potrebbe considerare anche le fonti rinnovabili.

Il dubbio che viene posto è: siete sicuri valga la pena votare SI? Andiamo per ordine.
Ho letto e verificato qualcosa. A dire il vero in giro per il web non ci sono granché di spiegazioni che confutino questa tesi e questi dubbi. Allora mi sono andato a vedere le leggi di cui si parla. Non sono un giurista, ma credo si possa tranquillamente interpretare come segue.

È piuttosto evidente, a mio parere, che il comma 5 da abrogare dice che “non si procede” al nucleare solo fintanto che non si siano acquisite “ulteriori evidenze scientifiche” in merito. Dopo di che, una volta acquisite tali evidenze scientifiche, si procederebbe con il piano nucleare del governo. Ma oltretutto, nell’interpretazione che viene data da chi sollecita i dubbi di cui sopra, si commette l’errore di una lettura dei commi da abrogare fatta separatamente tra di loro e questi in maniera autonoma rispetto al restante contenuto dell’articolo 5 del dl 31/03/2011 n. 34.
Se si continua a leggere l’articolo 5, si nota che quello che ne rimarrebbe una volta abrogati i commi 1 e 8, sono modifiche a vari dispositivi di legge per sopprimere parole come “impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare”. In sostanza, con quello che rimarrebbe del testo dell’articolo 5, si esclude la costruzione di centrali nucleari dal territorio nazionale (anche se non mi sembra di poter dire che si escludono siti di stoccaggio di energia nucleare, depositi, ecc).

E veniamo al comma 8 dell’articolo 5, quello sulla Strategia energetica nazionale. Leggendo il testo di quel comma, una lampadina avrebbe dovuto accendersi ai dubbiosi sul SI, notando l’uso dell’articolo determinativo “la” quando si dice che il governo “adotta la Strategia energetica nazionale”, oltre che l’uso della maiuscola in strategia. Ed infatti, la Strategia energetica nazionale è un preciso strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale, la cui definizione è stata attribuita al governo con l’articolo 7 del decreto-legge 112/2008 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”), convertito dalla legge 133/2008. La lettura dell’articolo 7 in questione dovrebbe eliminare ogni ulteriore dubbio.
Si legge infatti che “Entro  sei  mesi  dalla  data di entrata in vigore del presente decreto (entrata in vigore avvenuta il 25 giugno 2008 – n.d.r.),  il  Consiglio  dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo  economico,  definisce  la ‘Strategia energetica nazionale’, che  indica  le  priorità per il breve ed il lungo periodo e reca la determinazione delle misure necessarie per  conseguire,  anche attraverso meccanismi di mercato, i seguenti obiettivi”. Alla lettera d) del comma 1 di questo articolo, è posto il seguente obiettivo: “realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare”. E ancora, lo stesso articolo 7, al comma 3, parla di "avviare la stipula, entro il 31 dicembre  2009, di uno o più accordi con Stati membri dell'Unione Europea o Paesi Terzi, per intraprendere il processo di sviluppo del settore dell'energia nucleare". E nei successivi commi 2 e 3 si dice di “forniture di energia nucleare a lungo termine da rendere, con eventuali interessi,  a conclusione del processo di costruzione e ristrutturazione delle centrali presenti sul territorio nazionale” e di definizione di aspetti normativi riguardanti “i  soggetti  pubblici operanti nei sistemi dell'energia nucleare”.

E’ questa “la” Strategia energetica nazionale che si vuole abrogare votando SI al referendum e non una qualunque strategia energia nazionale che potrebbe prevedere lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili.

Mi pare a questo punto che dubbi, per votare SI al referendum sul nucleare (oltre che sull’acqua e sul legittimo impedimento) non debbano esserci.
Ed ora, non ci resta che battere il quorum e votare convinti quattro volte SI ai referendum del 12 e 13 giugno!
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