“Non e' più sufficiente evocare
lo sciopero generale come unica modalità in cui si determina il conflitto sul
tema del lavoro”, ha affermato la segretaria generale della Cgil, Susanna
Camusso. In questi termini la
Camusso si è espressa nel corso di un seminario sul lavoro,
rappresentanza sociale e politica svoltosi a Bologna.
Della insufficienza dello
sciopero generale ne aveva coscienza Engels, il quale ironizzava contro chi
predicava “dovunque i risultati miracolosi dello sciopero generale”, come se
“un bel mattino tutti gli operai di tutti i rami dell'industria di un paese, o
meglio, del mondo intero, cessano il lavoro, e in questo modo, al massimo in
quattro settimane, costringono le classi possidenti o a sottomettersi umilmente
o ad attaccare gli operai”.
Stai a vedere che la Camusso è diventata
comunista? Oppure Engels è stato un precursore della deriva compatibilista
della Cgil? Ovviamente nessuna delle due cose.
Engels notava che lo sciopero
generale non può essere considerato in maniera immediata e diretta come “la
leva per mezzo della quale si compie la rivoluzione sociale”. Lo sciopero
generale sarebbe, nelle parole di Engels, una misura “colpisce direttamente
soltanto i singoli borghesi ma non il loro rappresentante generale: il potere
dello Stato.” Ovviamente i termini dell’insufficienza dello sciopero generale
affermati da Engels sono diametralmente opposti a quelli considerati dalla
Camusso.
Quest’ultima, infatti, si muove
in una logica assolutamente compatibilista rispetto ad uno Stato che va dismettendo
ogni forma di tutela sociale, ogni forma di garanzia dell’esercizio dei diritti
dei lavoratori, ogni forma di affermazione della legittimità del conflitto. Un
processo di dismissione funzionale alla ristrutturazione capitalistica, la cui
supposta necessità è propagandata con gli slogan secondo i quali saremmo tutti
sulla stessa barca e che, quindi, se questa affonda nessuno si salva. Che ci
siano alcuni che da tempo occupano scialuppe di salvataggio, alla Camusso
sembra non passi nemmeno per la testa. Come non passa per la testa nemmeno a Bonanni
e Angeletti, ovviamente. O comunque si guardano bene dall’affermarlo.
D’altronde il documento congiunto
che Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno trasmesso al governo lo scorso
luglio, è quanto di più esplicito della deriva neocorporativa assunta anche
dalla Cgil a guida Susanna Camusso. In quel documento si rilanciava l’idea di
un nuovo patto sociale per la crescita, dentro il quale si auspicava “una
grande assunzione di responsabilità da parte di tutti”, indistintamente. Come
se i lavoratori non avessero già dato, costretti a cedere diritti e reddito,
sotto i colpi di accordi e norme stimolati, auspicati e approvati in nome di
quella “grande assunzione di responsabilità da parte di tutti”: con l’accordo
del 28 giugno del 2011, con l’articolo 8 della manovra di Ferragosto dello
stesso anno, con la riforma del mercato del lavoro e con quella delle pensioni,
con l’accordo del 31 maggio troppo frettolosamente considerato come un
avanzamento per la democrazia nei luoghi di lavoro.
Non è perciò credibile la
preoccupazione della leader della Cgil, che va a congresso con un documento nel
quale si rivendica la bontà di quegli accordi. Non è credibile la Camusso quando motiva l’insufficienza
dello sciopero generale, con “la difficoltà economica dei lavoratori”,
sottolineando la necessità “di identificare l'elemento di unificazione del
mondo del lavoro”. Perché le difficoltà economiche sono il frutto marcio delle
politiche economiche che la
Camusso, come Cisl, Uil e Confindustria, critica solo con
riferimento agli indicatori macroeconomici e non per la loro logica classista. Perché
la frammentazione del mondo del lavoro non sono frutto della casualità, ma
conseguenza di quella precarietà, contro la quale la Camusso non si sogna di
alzare barricate, decantata allo stesso tempo come rimedio per la “noia del
posto fisso” e necessità per la competitività d’impresa.
La Camusso, nel suo ruolo di
segretaria generale, ha finora guidato la Cgil ad assumere un ruolo compatibilista e
neocorporativo. L’insufficienza dello sciopero generale di cui parla la
segretaria generale della Cgil va letta in questa logica. E proprio contro
questa logica occorre affermare la necessità dello sciopero generale.
0 commenti:
Posta un commento