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Prendere la mafia per i maroni, non basta

Oggi sono in vena di congetture e perciò, a leggere la notizia dell'arresto di Antonio Iovine, boss della Camorra latitante da oltre 14 anni, mi viene da pensare che il capo-clan, per sfuggire alla cattura, si fosse rifugiato in un qualche cilindro magico, di quelli dai quali anche i prestigiatori alle prime armi tirano fuori fazzoletti e colombe. Sembra che Iovine possa rappresentare la colomba del cilindro di Maroni, ovviamente nel senso di simbolo della pace concessa a Saviano, dopo le polemiche scaturite dal monologo dell'ultima puntata di "Vieni via con me" dello scorso 15 novembre. E invece no, il boss latitante non era nascosto in un cilidro magico, ma in un normalissimo appartamento a Casal di Principe. Quando si dice che le i nascondigli migliori sono quelli più banali. Come il portafogli che cerchi in tutta casa senza trovarlo e poi ti accorgi di averlo in tasca.

Certo che i miei sono solo insani pensieri, viziati dal ricordo, ad esempio, di Gaspare Spatuzza, boss affiliato al clan dei fratelli Graviano, che accusò Berlsconi di aver messo il Paese nelle mani della mafia. Era il 4 dicembre 2009 ed il giorno dopo i titoli dei giornali erano concentrati sull'arresto dei boss Nicchi e Fidanzati.
Certamente sarà stata una coincidenza. Che grosso modo si è ripetuta qualche mese dopo, quando ci fu, a metà luglio 2010, la famosa maxi retata contro la 'ndrangheta, preceduta, di pochi giorni, dalla notizia della condanna per mafia di Dell'Utri, co-fondatore di Forza Italia insieme a Sivlio Berlusconi.

Quello che è certo, invece, all'opposto delle mio spicciolo immaginario dietrologico, è un uso propagandistico di questi successi. Non c'è bisogno di riportare citazioni di membri del governo attuale, da Berlusconi a Maroni, per ricordare il solito panegirico dell'esecutivo in materia di lotta alla criminalità organizzata, troppo spesso dimenticando il lavoro, quello sì encomiabile, della magistratura e delle forze dell'ordine nel combattere le mafie.
Ma anche in questo caso, è difficile non notare come gli arresti, seppure eccellenti, si riferiscano all'ala militare delle organizzazioni mafiose. E' ovvio che le mafie non si combattono solo su quel fronte, essendo quello mafioso un sistema di potere che si regge, come afferma il procuratore generale Roberto Scarpinato nel libro-intervista "Il ritorno del Principe", su un codice culturale della corruzione. Insomma, non basta fare i duri e prendere, come si dice, il toro (la mafia in questo caso) per le palle (o per i maroni che dir si voglia).
Si capisce, quindi, come quegli arresti, seppure duri colpi all'organizzazione militare delle mafie, non bastano a sconfiggerle. E' come catturare una lucertola dalla coda: si stacca e dopo un po' ricresce, ma intanto il rettile scappa via e continua la sua corsa. Anche per questo non ho mai capito l'apprezzamento spropositato di Saviano nei confronti di Maroni, quando di lui disse che «sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre».

Sono convinto che Guy Debord, se fosse ancora in vita e avesse avuto la possibilità di giudicare più ampiamente le attività del governo, avrebbe confermato la sua tesi, riportata nei "Commentari alla società dello spettacolo", secondo la quale «ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalità».
In questo senso, che lo scudo fiscale abbia dato una bella mano alla protezione dei capitali mafiosi è ormai cosa detta da più parti. Così come è evidente che i tagli ai fondi da destinare alle forze dell'ordine vadano in senso opposto alla lotta alla criminalità organizzata. E non si può considerare un'azione di lotta dura alle mafie, la norma approvata in Parlamento con la quale si prevede che "i beni […] di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse ivi contemplate entro i termini previsti dall’articolo 2-decies [180 giorni dalla confisca definitiva, ndr], sono destinati alla vendita". Non è difficile immaginare che fine faranno i beni non destinati al pubblico interesse e perciò venduti all'asta (quando la norma fu approvata, quasi un anno fa, si parlava di ben 3500 beni all'asta!).

Ora, giorni di crisi profonda sono annunciati per il governo e c'è già chi ride amaro sulla necessità dell'esecutivo di arrestare Matteo Messina Denaro, nelle prossime settimane. Ne saremmo ovviamente tutti molto contenti, mantenendo però la speranza che a sempre meno persone la vista sarà offuscata dal fumo della propaganda politica.

1 commenti:

  1. Beh, sai, quando si decide di arrestare un boss, è perché hanno già preparato il successore. È altresì vero che Maroni ha reagito nel modo più banale verso dei dati di fatto, a prescindere da Saviano. Sì, qualcosa covano! Ciao!

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