Quando tutto viene considerato merce di scambio, dalle auto al sesso, dalle scarpe al lavoro, anche i diritti vengono considerati tali. Una merce, quest’ultima, che come tale non è data per sempre, ma a seconda delle necessità di un profitto, sia esso politico o economico. Nel caso dei diritti dei lavoratori precari, si tratta di entrambi i casi e si tratta di una merce prodotta negli operosi palazzi politici, dove più che rappresentanti dei cittadini sembra siedano capitani d’industria e loro vassalli, a giudicare dai provvedimenti che ne vengono fuori. E’ in questa condizione che i diritti mercificati devono essere ben digeriti da coloro che amano riempircisi la bocca, inghiottirli e poi rilasciare puzzolenti escrementi dove i lavoratori rischiano di affogare. Sarà per questo che ai diritti dei lavoratori precari, serviti alle tavole padronali, è stata data una scadenza, breve come fosse un yogurt.
Si sta parlando del termine stabilito nella legge 8 novembre 2010 n. 183, il cosiddetto “collegato lavoro” approvato dal governo Berlusconi, entro il quale i lavoratori precari hanno possibilità di impugnare un contratto a tempo determinato di dubbia legittimità. Un termine che non esisteva fino allo scorso 24 novembre, giorno dell’entrata in vigore del “collegato lavoro”, e pertanto prima che quel provvedimento fosse approvato, un lavoratore aveva la possibilità di fare causa per un contratto illegittimo, anche a distanza di anni dalla sua conclusione.
La ragione era evidente quanto giusta: non porre la parte debole dei contraenti (il lavoratore) nella condizione di dover scegliere se vedersi riconosciuto un diritto o coltivare la speranza di essere riassunto, magari con un nuovo contratto a termine.
Tutto cambia, appunto, con l’entrata in vigore del “collegato lavoro”, che lascia al lavoratore 60 giorni di tempo dalla scadenza del contratto, per impugnarlo e solo 270 giorni dalla data di impugnazione per ricorrere in tribunale. Poiché l’efficacia di questo odioso provvedimento è retroattivo, tutti i contratti scaduti prima del 24 novembre 2010 possono essere impugnati entro e non oltre il prossimo 23 gennaio.
Per farlo ed avere poi 270 giorni di tempo per eventualmente rivolgersi ad un giudice, occorre inviare una raccomandata ai datori di lavoro presso i quali si è lavorato con contratto a termine, contenente l’impugnazione della risoluzione del loro contratto di lavoro. È il solo modo per vedersi riconosciuti, in base ai singoli casi, un risarcimento o anche l’assunzione a tempo indeterminato. E’ il solo modo, se agito in maniera diffusa, per evitare l’efficacia di quello che di fatto risulta essere un condono per quei datori di lavoro, pubblici e privati, che hanno abusato dei contratti a termine ed approfittato delle condizioni di precarietà dei lavoratori.
ottimo post!
RispondiEliminaun saluto
Cose per cui vale la pena far saltare un governo, cazzo.
RispondiEliminaHai fatto benissimo a chiarire.
RispondiEliminaOT
Ti ho linkato in questo post che parla del CAPTCHA. Visto che tu non l'hai attivato potresti dirmi in un commento se hai dei problemi o no?
Ma perché hai i link dello stesso colore del testo?
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